Pensioni, si cambia: quota 41 o via a 62. Cosa può succedere dopo le elezioni

Salvini vuole avvantaggiare gli operai del nord e i lavoratori precoci. I sindacati rilanciano: 62 anni per tutti. Ma c’è il nodo coperture

Matteo Salvini (Ansa)

Matteo Salvini (Ansa)

Roma, 29 agosto 2022 - Quota 41 (come misura in sé ma anche come simbolo del superamento della riforma Fornero) è il non oscuro oggetto di desiderio che vede uniti la Lega di Matteo Salvini e i vertici di Cgil, Cisl e Uil, in vista dell’offensiva di autunno sulle pensioni. E per quanto i tre leader sindacali, chi più chi meno, si sforzino di distinguersi dal capo leghista, è molto probabile che si ritroveranno tutti sullo stesso fronte quando si tratterà di definire, subito dopo il voto, il pacchetto previdenza per il 2023. Questo anche nel caso in cui dovesse vincere il centrodestra e Giorgia Meloni si insedi a Palazzo Chigi. La numero uno di Fratelli d’Italia, come anche lo stato maggiore di Forza Italia, è molto più cauta verso lo smantellamento della legge varata dal governo Monti nel 2011 considerata a Bruxelles un baluardo per la tenuta dei conti pubblici, perché produrrà una riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al Pil pari a circa 20 punti percentuali al 2060.

La foto di Salvini e Meloni sorridenti dopo l'incontro a Messina. "Uniti si vince"

Il fronte comune pro-operai del Nord

A fine anno scade Quota 102 (che permette di andare in pensione con 64 anni di età e 38 di contributi), come scadono l’Ape sociale e l’Opzione donna, altre due vie per lasciare il lavoro prima dei 67 anni previsti dalla Fornero. Il punto è che mentre per le ultime due misure non ci sono obiezioni di sorta da parte di nessun partito, per evitare il cosiddetto scalone (dai 64 ai 67 anni) si moltiplicano le ricette in molteplici direzioni. In questo quadro, Salvini ha fatto dello "smontaggio" della Fornero il suo cavallo di battaglia da anni: da qui prima Quota 100, poi il compromesso su Quota 102 e oggi il ritorno alla bandiera di Quota 41, ovvero alla possibilità di lasciare il lavoro con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età. Una soluzione ritagliata su misura degli operai del Nord (ma anche dei lavoratori autonomi) che hanno cominciato l’attività a 18 anni o anche prima. Si spiega, dunque, l’asse con i sindacati. Tant’è che Salvini, dopo un primo incontro a maggio, ha proposto – con la regia dell’uomo della previdenza Claudio Durigon – un nuovo round di incontri con Luigi Sbarra, Maurizio Landini e PierPaolo Bombardieri.

I costi della soluzione Lega-Sindacati

La proposta chiave di Lega e sindacati, secondo i calcoli del Carroccio, dovrebbe costare circa 5 miliardi l’anno in un triennio. Dall’Inps fanno una stima sui 6 miliardi annui. Dalla Cgil scendono a 1,3 miliardi, sulla base dell’ipotesi che vede solo il 40 per cento degli aventi diritto chiedere l’anticipo, scomputando la parte contributiva dell’assegno che "non è un costo per lo Stato, solo un anticipo dei contributi versati". Una previsione che dà maggiore forza alla tesi leghista.

I sindacati per quota 62

I leader sindacali, però, vanno oltre Quota 41. Nella loro proposta storica e mai cambiata puntano anche su un’altra misura radicale: la fissazione dell’età standard di uscita dal lavoro a 62 anni, con 20 anni di contribuzione minima senza penalizzazioni sull’assegno. Ipotesi che tutti i partiti considerano impraticabile, ma che la Lega non ha mai bocciato apertamente e che, anzi, potrebbe sostenere con il ripristino di Quota 100, in una versione riveduta e corretta.

Il fronte della semi-flessibilità

Fatta eccezione per i sindacati e per la Lega, in realtà tutti gli altri partiti sono trasversalmente uniti a favore della proroga dell’Ape sociale (uscita a 63 anni per i lavoratori che svolgono attività gravose o che sono disoccupati o che sono disabili o assistono disabili) e di Opzione donna (che prevede il pensionamento a 58-59 anni con 35 anni di contributi, ma con il calcolo, meno favorevole, interamente contributivo dell’assegno). Sono più o meno tutti anche a favore dell’introduzione di qualche forma di flessibilità in uscita a 63-64 anni, ma con penalizzazioni per ogni anno di anticipo sui 67 o con il calcolo contributivo della pensione.