Per approfondire:
Arriva la certificazione ufficiale dell’Inps: la speranza di vita, per effetto della pandemia, si è ridotta di tre mesi e come conseguenza diretta l’età per la pensione di vecchiaia non aumenterà né nel 2023 né nel 2024. Dunque, si potrà lasciare il lavoro a 67 anni anche negli anni a venire. Ma se questo è assodato, è tutto definire il pacchetto della flessibilità in uscita che dovrà servire a superare Quota 102, valida per quest’anno per i pensionamenti anticipati: sul piatto c’è la cosiddetta "Opzione tutti" che consiste nel pensionamento a 64 anni con il calcolo interamente contributivo del trattamento. I vertici sindacali attendono la convocazione del summit politico, ma restano fermi sulla loro posizione: via libera con 41 anni di contributi a prescindere dall’età o con 62 anni di età e con meno contributi. Il problema è che il governo ha tutt’altra intenzione e nei giorni scorsi, al tavolo tecnico, ha messo nero su bianco uno schema che ha come elemento centrale il ricalcolo dell’assegno con il meccanismo contributivo per coloro che vogliono andare via a 64 anni di età e che rientrano nel sistema misto (una quota maturata nel retributivo e una nel contributivo). L’effetto sarebbe un taglio variabile del trattamento a seconda del numero di anni versati con le vecchie regole: in linea di massima tra il 6 e il 12 per cento. L’alternativa più semplificata sarebbe una riduzione della pensione del tre per cento per ogni anno mancante alla soglia dei 67 anni: per tre anni la decurtazione arriverebbe al 9 per cento. I leader sindacali non ci stanno al ricalcolo e alle penalizzazioni. Ma se nel pacchetto complessivo dovessero entrare altri elementi, la posizione potrebbe cambiare: il riferimento è agli sconti per le lavoratrici, alla pensione di garanzia per i giovani e alla stabilizzazione strutturale ...
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