Stallo sulle pensioni, idea proroga. E si fa strada l’ipotesi di Quota 104

Le proposte di Lega e sindacati sono costose, riassetto difficile. Nel 2023 potrebbero valere le norme attuali

La spesa per le pensioni in Italia

La spesa per le pensioni in Italia

La Lega e i sindacati hanno riaperto il cantiere pensioni con una doppia proposta per favorire la cosiddetta flessibilità in uscita. Si tratta di Quota 41, che prevede la possibilità di lasciare il lavoro al raggiungimento di quella soglia di contributi a prescindere dall’età anagrafica, e di Quota 62 che contempla il via libera al pensionamento a 62 anni di età, con 20 anni di contributi. Peccato, però, che entrambe le soluzioni sono destinate a infrangersi contro il muro del Ministero dell’Economia e della Ragioneria generale dello Stato per il loro costo elevato.

Dall’altra parte, però, quella che doveva essere la nuova riforma complessiva del sistema previdenziale appare arenata nelle secche delle urgenze e delle emergenze legate al conflitto russo-ucraino, con il risultato che, in assenza di interventi, dal primo gennaio prossimo verrebbero meno tutte le formule in vigore, a cominciare da Quota 102, per garantire un pensionamento flessibile e si tornerebbe per tutti alle regole standard della Fornero. Un esito che, in un anno elettorale come il 2023, appare altamente improbabile. Con la conseguenza che alla fine della fiera assisteremo verosimilmente alla proroga delle misure operative quest’anno.

Dopo mesi di silenzio e di tregua, dunque, si torna a parlare di pensioni. A scendere in campo è Matteo Salvini che ha rilanciato la cosiddetta Quota 41, oggi prevista solo per alcune tipologie di lavoratori, come i "precoci" (coloro che abbiano cominciato a lavorare durante la minore età) e quelli impegnati in attività gravose o che si trovino in condizioni di disagio: chi è disoccupato e non percepisce da almeno tre mesi l’indennità di disoccupazione; chi presta cure da non meno di sei mesi a un familiare entro il secondo grado, convivente con handicap grave; gli invalidi civili con oltre il 74% di invalidità; coloro che hanno svolto attività usurante o mansioni gravose per almeno sette anni negli ultimi dieci, non meno di sei anni negli ultimi sette di attività lavorativa.

Il punto è che l’eventuale estensione di Quota 41 costerebbe più di 4 miliardi nel primo anno per arrivare a più di 9 miliardi alla fine di un decennio. E, dunque, al momento appare priva di futuro. Così come si presenta destinata a uscire di scena anche la proposta alternativa dei sindacati di un’uscita a 62 anni sempre e comunque: anche per questa ipotesi il peso sui conti pubblici sarebbe stratosferico. Niente da fare, per ora, anche per tutte le altre soluzioni messe in campo in questi mesi: da quella del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, sull’uscita in due tranche, prima con la quota solo contributiva e a 67 anni con quella retributiva, a quella dell’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, che ipotizza il taglio di una percentuale di assegno in relazione agli anni di anticipo rispetto ai 67. Insomma, a conti fatti, nella prevedibile impossibilità di un riassetto complessivo delle regole pensionistiche, si affaccia l’idea di una proroga tout court dei meccanismi attuali anche per il 2023.

È vero che Mario Draghi e il ministro dell’Economia, Daniele Franco, vedono come il fumo negli occhi Quota 102, che ha sostituito Quota 100, ma devono fare i conti con le spinte dei partiti (dalla Lega allo stesso Pd) per evitare un inasprimento dei requisiti nell’anno delle elezioni. Tant’è che, forse, il massimo del rigore al quale si potrà arrivare è quello indicato da Antonio Tajani: "Quota 100 non ci affascinava, meglio allora quota 104". Di sicuro, però, non si potrà fare a meno di tenere in vita gli altri meccanismi di flessibilità: ci riferiamo all’Ape social per chi svolge attività gravose o si trova in condizioni disagiate, ma anche alla cosiddetta Opzione donna, che contempla, però, il calcolo interamente contributivo della prestazione, fino al canale agevolato per i precoci.