Riforma delle pensioni, cosa cambia: così funzionerà la flessibilità in uscita nel 2024

Ecco le ipotesi in campo tra opzione donna, opzione tutti e ape sociale

Roma, 17 novembre 2022 - La flessibilità in uscita è come l’araba fenice delle pensioni. E da un decennio che si punta a trovare una soluzione più o meno duratura e complessiva per permettere, in presenza delle rigidità della riforma Fornero, un pensionamento più legato alle condizioni e alle scelte di vita dei lavoratori, anche se con requisiti di partenza definiti e non liberi. Il prossimo anno, con la prospettiva del nuovo riassetto pensionistico, dovrebbe essere la volta buona.  Vediamo, allora, quali sono le ipotesi in campo. 

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Inps (Newpress)
Inps (Newpress)

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Le ricette in gioco

Sono molteplici. La prima è quella dello stesso sindacato che propone di fissare la possibilità di lasciare il lavoro a 62 anni, con 35 anni di contributi. E’, però, una soluzione di fatto impossibile da realizzare per le condizioni della finanza pubblica dell’aumento della spesa pensionistica che innescherebbe. Più verosimili altre soluzioni. A cominciare dalla possibilità di fissare una soglia di uscita a 63-64 anni con penalizzazioni progressive sull’importo della pensione rispetto agli anni mancanti ai 67: 1-2 per cento in meno per ogni anno. Allo stesso risultato si arriva con la ricetta di Pasquale Tridico, il Presidente dell’Inps, che ipotizza l’attribuzione di una quota di pensione a 63 anni, quella calcolata con il contributivo, mentre quella calcolata con il retributivo arriverebbe a 67 anni. 

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Opzione tutti

In primo piano resta, però, anche l’Opzione Tutti: uscita flessibile per tutti a partire dai 63-64 anni con il calcolo interamente contributivo dell’assegno e dunque con una robusta penalizzazione

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Opzione donna

Sulla scorta dell’esperienza di Opzione donna, dentro lo stesso esecutivo c’è chi spinge per estendere la formula a tutti come soluzione di flessibilità generale e in qualche maniera strutturale, tanto più perché permetterebbe di superare definitivamente il meccanismo delle Quote, altamente discriminante per le donne e per i giovani. In questa direzione andrebbero le parole di Mario Draghi sul "ritorno al contributivo". Il sindacato, del resto, potrebbe accettare il meccanismo perché, in realtà, già oggi il calcolo contributivo riguarda tutti coloro che hanno cominciato a lavorare dal 1996 in avanti, mentre anche quelli delle classi precedenti o hanno il retributivo solo per gli anni precedenti al 1995 (coloro che avevano meno di 18 anni di attività in quell’anno) o, in circa 300 mila in tutto, lo hanno fino al 2011. Come dire: che il ricalcolo fa sempre meno male. 

Ape sociale

A quel punto, la riforma, sulla scorta dell’antico progetto complessivo di Tommaso Nannicini, potrebbe risolvere stabilmente anche due altri nodi: quello dei lavoratori fragili, con la stabilizzazione dell’Ape sociale per le categorie dei gravosi, dei disoccupati, degli invalidi e di coloro che assistono i disabili. E quello dei giovani precari o con carriere discontinue: con la previsione di un trattamento minimo pensionistico, la cosiddetta pensione di garanzia, per coloro che non lo dovessero raggiungere. Insomma, il pacchetto strutturale esiste. E, se c’è la volontà politica, potrebbe diventare la soluzione di medio periodo che mette al riparo da interventi spot anno per anno.