Pensioni, ultimo atto: opzione Donna si restringe ancora. Riservata a 2900 lavoratrici

Dopo giorni di tira e molla trovata la quadratura sulla possibilità di uscita femminile anticipata. Ne usufruisce chi ha 58 anni e 2 figli o 60 anni senza figli, ma sia disoccupata, invalida o con parenti da assistere

L’ultima versione di Opzione donna permetterà l’uscita nel 2023 a non più di 2.900 lavoratrici. Nella girandola di ipotesi e soluzioni connesse al meccanismo di flessibilità, la pallina sembra essersi fermata sul sistema più limitato: quello che consente il pensionamento solo per chi, oltre a 60 anni di età senza figli, si trovi a essere disoccupata o invalida o assista un familiare invalido. Ma, nella giornata in cui la legge di Bilancio è attesa in Parlamento, è la premier Giorgia Meloni a tornare sulla manovra, davanti alla platea degli industriali veneti, con una serie di avvisi che suonano come una mano tesa a Confindustria.

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Giancarlo Giorgetti, 55 anni, vicesegretario leghista e ministro dell’Economia
Giancarlo Giorgetti, 55 anni, vicesegretario leghista e ministro dell’Economia

Messaggi che vanno dalla conferma della stretta sul Reddito di cittadinanza ("Anche se può costare prezzi elettorali") al rilancio dell’energia italiana (in prospettiva anche il nucleare), fino al "non disturbare chi produce". Tant’è che, a stretto giro, arriva l’altra mano del Presidente di Confindustria, dopo che lo stesso Carlo Bonomi nei giorni scorsi aveva puntato l’indice sulla limitatezza degli interventi messi a punto: "È stato positivo mettere tutte le risorse disponibili sul caro energia per famiglie e imprese". Ma torniamo al pacchetto pensioni. In primo piano quella che da Opzione donna è diventata Opzione mamma e che a questo punto si configura come Opzione cura. In sostanza, la possibilità di andare via con il calcolo interamente contributivo dell’assegno (con una penalizzazione dal 15 al 20 per cento) viene circoscritta alle lavoratrici che abbiano 35 anni di contributi e 58 anni di età (se con due figli), 59 (con un figlio) e 60 (senza figli), a condizione, però, che assistano il coniuge o un parente con handicap o che abbiano una invalidità civile superiore o uguale al 74% o che siano state licenziate o dipendenti da imprese al tavolo di crisi (in quest’ultimo caso l’uscita è a 58 anni).

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A conti fatti, la previsione è di 2.900 uscite. Con la nuova Quota 103 (composta da 62 anni di età e 41 di contributi) dovrebbero lasciare il lavoro per la pensione, circa 41 mila lavoratori. A frenare la corsa il meccanismo basato su premi e penalizzazioni che accompagna la soluzione. L’incentivo a restare è costituito dalla decontribuzione pari alla quota contributiva a carico del lavoratore dipendente (circa il 9,19%). Ma lo stesso trattamento verrebbe bloccato al livello maturato al momento del rinvio, con un "danno" implicito.

La penalità, al contrario, è rappresentata dal tetto all’importo dell’assegno, che non potrà andare oltre le 5 volte il minimo Inps: circa 36.600 euro l’anno nel 2023. Senza contare che la pensione non potrà essere cumulata con altri redditi da lavoro, se non quelli da lavoro autonomo occasionale fino a un massimo di 5mila euro. Sempre nel capitolo flessibilità in uscita rientra la conferma dell’Ape sociale, l’anticipo pensionistico per i lavoratori che si trovano in condizioni disagiate (disoccupati di lungo corso a caregiver) o che svolgono attività gravose.

Con una platea stimata per il 2023 di 20mila lavoratori. L’ultimo, ma non meno rilevante, fronte della previdenza è quello che riguarda la stretta sulle rivalutazioni. Il nuovo sistema, basato non più sugli scaglioni, ma sulle fasce, garantisce il 100% dell’adeguamento solo fino a 4 volte il minimo (2.625 euro). Con una minore spesa di 2,1 miliardi nel 2023, che salgono a 4,1 miliardi nel 2024. In compenso, per le pensioni minime pari o inferiori a 525,38 euro mensili (6.829,94 l’anno), la rivalutazione sarà maggiorata dell’1,5% nel 2023 (571,5 euro al mese) e del 2,7% nel 2023 (580 euro).