Dopo le recenti polemiche sulle dichiarazioni della stilista Elisabetta Franchi, il tema del lavoro femminile è tornato alla ribalta. Del resto, non è un caso che tra gli obiettivi del Pnrr ci sia anche quello di aumentare l’occupazione femminile. Secondo l’Istat, infatti, nel nostro Paese lavora solo una donna su due (51,2%) contro il 68,7% degli uomini. Questo si traduce in un divario occupazionale di genere del 17,5%, tra i più alti nei Paesi sviluppati. Il problema, insomma, esiste. Per affrontarlo, negli ultimi anni i governi hanno spinto molto sugli sgravi fiscali. Nel 2012, con la Riforma Fornero è stata introdotta una decontribuzione, di durata limitata, pari al 50% per le imprese che assumono donne disoccupate da più di 24 mesi (o sei, sotto certe condizioni). Si tratta quindi di una misura che è intervenuta in modo deciso sul problema del lavoro femminile. Misura che, però, ha funzionato solo in parte. Secondo uno studio dell’economista Enrico Rubolino pubblicato su LaVoce.Info, infatti, il provvedimento ha contribuito a "promuovere la domanda di lavoro femminile e a ridurre parzialmente il divario occupazionale di genere", ma non ha inciso sulle retribuzioni, che non sono aumentate "in maniera significativa". In altre parole, sono cresciute le lavoratrici ma non i loro stipendi. La conclusione è che "sono necessarie politiche di genere alternative per ridurre il divario salariale". Per quanto riguarda il primo aspetto, scrive Rubolino, "lo sgravio fiscale ha incrementato il tasso di occupazione femminile, in particolare nei comuni e nei settori in cui era particolarmente modesta". Inoltre, non c’è stata una sostituzione "tra lavoratori di sesso diverso né tra lavoro full-time e part-time". Nel complesso, "lo sgravio fiscale ha aumentato la probabilità di essere occupati di circa 1,4 punti percentuali" e ha contribuito per "circa il 40 per cento alla riduzione nel divario occupazionale di genere osservato ...
© Riproduzione riservata