Natalità ai minimi in Italia. Perché si fanno pochi figli

La famiglie giovani danno priorità alla sicurezza economica sia sul fronte del lavoro che su quello della casa

Natalità ai minimi, colpa della crisi

Natalità ai minimi, colpa della crisi

Milano, 14 novembre 2022 - Che in Italia ci sia un rilevante problema di denatalità è ormai noto. Un problema che, per di più, continua a peggiorare. Gli ultimi dati Istat segnalano infatti un aggravamento della situazione del nostro Paese: quest’anno il numero dei nuovi nati dovrebbe attestarsi in torno alle 385mila unità, più di 100 mila in meno rispetto a pochi anni fa. Ancora più fosche sono le previsioni di lungo periodo. Entro il 2032 l’Italia perderà 1,2 milioni di abitanti, con i decessi che potrebbero doppiare le nascite nel 2049. Insomma, il quadro è molto serio. Eppure la denatalità che da alcuni anni ha colpito il Paese non sembra dovuta al fatto che le donne non desiderano avere figli.

Le indagini dell’Istituto Toniolo mettono infatti in evidenza che la volontà delle famiglie Italiane di avere un bambino non è tanto diversa da quella degli altri Paesi europei. Da altre analisi, poi, emerge una chiara relazione negativa tra livello di istruzione e l’aspettativa di diventare genitori: solo il 16,5% di coloro che hanno un titolo di studio più alto si vedono senza un figlio entro i 45 anni; percentuale che aumenta al 29,6% per i giovani che si sono fermati alla scuola dell’obbligo. Va sottolineato che la riduzione del tasso di fecondità è un fenomeno problematico sotto tanti aspetti, a partire dal sistema previdenziale italiano, basato sui contributi e sulle imposte pagate dalle generazioni attive. Più queste si assottigliano, più diventa difficile riuscire a pagare pensioni e sanità a una popolazione che ne ha sempre più bisogno. Anche per questo, insomma, è importante capire quali sono le ragioni che stanno dietro alla scelta di non avere figli.

Una scelta che risente di diversi fattori, come l’età, il livello di istruzione, il reddito (e il patrimonio) della famiglia. Ad analizzare il fenomeno sono Francesco Bortolomai e Leonardo Ciotti in una nota pubblicata sull’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica. Il fattore a cui viene attribuito generalmente più peso nella spiegazione dei motivi di avere figli o meno è il reddito. Crescere un figlio, infatti, costa, e parecchio. Stando ai dati Istat, si osserva che, a partire dal 2016, le famiglie con figli hanno redditi più elevati, in media pari a 28-34mila euro contro i 27mila di quelle senza figli. A livello nazionale, stando ai calcoli dei due ricercatori, c’è una correlazione positiva tra reddito e numero di figli (0,49). In altre parole, all’aumentare del reddito aumenta la fecondità. Se si entra nei particolari, però, la situazione appare molto eterogenea a livello territoriale. La correlazione tra reddito medio famigliare e tasso di fecondità nel Centro-Nord risulta positiva (0,70), mentre nel Sud la correlazione è negativa (-0,37) se includiamo le due isole e torna debolmente positiva (0,24) se le escludiamo. Insomma, nel meridione più si guadagna meno figli si fanno. "Questi dati" scrivono i ricercatori, "sembrerebbero indicare che la relazione tra il reddito e la decisione di avere un figlio è molto più complicata di quanto appaia a prima vista. In particolare, sembrerebbero pesare i vincoli del contesto locale (in termini di servizi per l’infanzia, per esempio) e la possibilità di trovare una occupazione che consenta, soprattutto alle donne, una carriera appagante".

Potrebbe pesare anche il fenomeno delle "lavoratrici scoraggiate" per cui, in presenza di redditi e molto bassi e tassi di disoccupazione elevati, le donne rinuncino a cercare un lavoro e scelgano di avere più figli. Oltre al reddito, però, ci sono altri fattori da considerare. Dall’Indagine sui Bilanci delle Famiglie Italiane condotta dalla Banca d’Italia, i due ricercatori hanno estratto i dati su un campione di famiglie. Il reddito medio familiare è pari a 44.676 euro. A livello nazionale, il numero medio di figli è di 1,48 per famiglia, con un valore di 1,49 figli al Nord, 1,39 al Centro e 1,53 al Sud. A parità di età, si osserva che il numero dei figli si riduce con il reddito tra i 31 e 35 anni, un fenomeno che si potrebbe spiegare grazie alla relazione tra istruzione e reddito: chi guadagna di meno è anche meno istruito e tende a farsi una famiglia prima di chi, invece, ha passato più tempo a studiare. A partire dalla fascia di età 36-40 anni, il numero medio di figli sale e raggiunge un valore di circa 1,5. Né in questa fascia di età né in quella 41-45 si osserva una relazione crescente fra numero di figli e reddito. Relazione che si osserva solo oltre i 60 mila euro per le famiglie in cui la donna ha un’età tra i 46 e i 50 anni. Tra i motivi che possono spiegare questo fenomeno vi è il raggiungimento della stabilità lavorativa di una donna in carriera, che può decidere ora di combinare il ruolo professionale con quello materno.

Insomma, il legame tra il reddito familiare e la decisione di avere uno o più figli si intreccia con l’istruzione e con l’età. Soprattutto con quest’ultima. "Solo la variabile età" scrivono i due ricercatori, "mostra una relazione positiva con la probabilità di avere figli. Tutte le altre variabili, incluso il reddito (che cresce con l’età), sembrano essere irrilevanti". Innanzitutto, per le donne più giovani emerge una relazione negativa tra titolo di studio e probabilità di avere un figlio. C’è insomma un disincentivo ad avere figli per le donne maggiormente istruite, dato il costo-opportunità della progressione di carriera. A questo si aggiunge, una relazione negativa tra la proprietà dell’abitazione principale e la probabilità di avere un figlio. Entrambe queste variabili sembrano sottolineare la priorità che le famiglie giovani danno alla sicurezza economica sia sul fronte del lavoro che su quello della casa, per la quale molto spesso si indebitano con l’accensione di un mutuo. In queste circostanze sembrerebbe quindi che la decisione di avere figli venga posticipata nel tempo. Nel complesso, a spiegare la denatalità è soprattutto la situazione economica. Innanzitutto, il fatto che, stando ai risultati dell’analisi dell’Osservatorio sui conti pubblici, le famiglie italiane sembrano dare priorità alla ricerca della stabilità economica rappresentata da un lavoro (che consenta una progressione di carriera soprattutto per chi ha un livello di istruzione elevato) e dalla proprietà di un’abitazione. Di conseguenza si osserva un aumento dell’età delle donne quando decidono di avere il primo figlio, cose che condiziona anche la possibilità (e la volontà) di averne altri.