Mercoledì 24 Aprile 2024

Montenegro in mano alla Cina (e l’Ue si sfila)

Podgorica ha un miliardo di debiti con Pechino per la costruzione di un’autostrada. Bruxelles nega gli aiuti al Paese candidato all’adesione

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di Nicoletta Magnoni

Una zampata, e il Dragone avanza sempre più spedito in Europa, lungo le vie della seta. La sua ombra si allunga sul porto di Bar, nel Montenegro, di cui Pechino ha ottime probabilità di acquisire il controllo a luglio. A offrire l’occasione è un finanziamento di oltre un miliardo di euro che Exim (Export-import bank of China) con generosità strategica ha concesso al governo di Podgorica nel 2014 per la costruzione dell’autostrada che collega il porto al confine serbo. Prestito sul quale il Paese ex jugoslavo ha azzardato molto, troppo, tanto da non essere in grado di rimborsare la prima rata di 36 milioni, in scadenza a luglio appunto.

Il premier Krivokapic ha lanciato una richiesta di aiuto alla Ue, a quell’Europa nella quale il Montenegro ambisce a entrare. Ma Bruxelles ha detto che no, "non ripagherà i prestiti contratti con terze parti" dai partner balcanici. Una risposta dura per chi l’attendeva e insidiosa per chi l’ha data. L’Ue sa che l’appello montenegrino è suonato come un test geopolitico alle orecchie di molti analisti, una prova della sua capacità o meno di sottrarre aree di influenza all’aggressività cinese. Questo particolare non era sfuggito ai montenegrini se il ministro delle Finanze Spajic aveva smaccatamente spiegato alla Ue i vantaggi di uno schieramento: "Sarebbe una vittoria facile" contro la Cina, aveva detto. E invece. Le stelle europee stanno a guardare. Abbiamo già dato, è la tesi: "La Ue è il maggior fornitore di assistenza finanziaria, il maggior investitore e il maggior partner commerciale del Montenegro". Sarà, però anche i numeri dall’altra parte dei Balcani sono pesanti. La Cina è, dopo la Russia, il maggior investitore che viene dall’Est in Montenegro sul quale, solo l’anno scorso, ha riversato 71 milioni di euro per finanziare progetti infrastrutturali in cui nessun altro ha, diciamo così, creduto. Non l’Ue, certamente. L’interscambio commerciale mostra plasticamente quanto Pechino già schiacci Podgorica, esportando lì beni per oltre 200 milioni di euro e limitando l’import ad appena 17 milioni. Ma la cifra più pericolosa per questo staterello di 600mila abitanti, e di conseguenza per l’Europa, è quel 40% del debito esterno montenegrino nelle mani della Cina, percentuale guardata con sospetto dagli Usa in quanto è la più alta fra i Paesi Nato. Il debito pubblico, nel giro degli ultimi due anni, ha sfondato la soglia psicologica e sostenibile del 100% del Pil (a quota 103%), anche sotto i colpi della pandemia che ha azzerato il turismo e, a cascata, un buon 20% della ricchezza totale.

Ora Podgorica sembra in un vicolo cieco, senza considerare che questo potrebbe anche compromettere l’ingresso in tempi rapidi nella Ue. Se a luglio Exim non verrà ripagata, la trappola dei contratti cinesi avrà funzionato ancora. Le penali previste stringono il Montenegro in una morsa. Alla prima inadempienza, può scattare la pretesa restituzione del prestito con tanto di interessi. Merito cinese e demerito della controparte, il precedente governo di Dukanovic che ha firmato accordi opachi, rinunciando alle clausole di protezione delle proprietà statali, come il porto. E ai cinesi si sa quanto interessino i porti che aprono sbocchi, da quello greco del Pireo ai 46 in Africa sui quali ha già messo le mani. Bar sarà il prossimo, anche perché in caso di contenzioso la competenza arbitrale spetta al tribunale di Pechino.

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