QUESTA settimana voglio raccontare all’attento lettore di una – piccola – scossa tellurica che potrebbe essere il presagio di un grande terremoto – paragonabile alla crisi del 2008 – che si è avvertito tra il 16 e il 17 settembre, non a caso, negli Stati Uniti. I fatti: all’inizio della scorsa settimana i tassi repo overnight Usa – ovvero i tassi ai quali le banche che hanno eccedenza di liquidità prestano denaro ad altri istituti per una durata di 24 ore – sono schizzati letteralmente alle stelle, passando dal 2,25% di venerdì 13 settembre al 4,750% di lunedì 16, un balzo di 250 punti. Poi, prima dell’apertura di Wall Street, nella notte fra il 16 e 17 settembre, sono arrivati oltre l’8%, con punte fino al 10%.
In sostanza: le banche non avevano denaro o non si fidavano di prestarlo
ad altri istituti (se non a prezzi altissimi) per l’operatività a brevissimo termine. Non succedeva dal 2008: panico. La Fed (nella foto il presidente Jerome Powell), che aveva giurato di aver chiuso con il Quantitative Easing, con cui aveva permesso agli Usa di superare le secche della Grande Crisi di 10 anni fa – inondando di liquidità i mercati – è tornata ad aprire i rubinetti. Martedì ha lanciato un’asta per permettere alle banche di accedere ad oltre 50 miliardi di liquidità, mercoledì è arrivata a registrare una domanda di oltre 80 miliardi. Non è tutto: molto presto la Fed tornerà a immettere nuova liquidità sui mercati che – ormai – soffrono di una dipendenza da Qe. La crisi non è mai finita, semplicemente è stata nascosta dagli interventi delle Banche Centrali.
IL PROBLEMA è che – mentre Fed e Bce comprano tempo e allontanano la prossima recessione – continuano a gonfiare una bolla speculativa che, per giunta, aumenta ancora il divario tra poveri e ricchi. Non so quando i mercati presenteranno il conto, ma quando avverrà – e non credo manchi molto – il botto rischia di essere ben peggiore di quello del 2008.
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