Miss Bitcoin e la "febbre" da criptovalute. Dal Giappone al Venezuela, chi ci investe

Ecco i Paesi che cercano di trarre vantaggio dal mondo delle criptovalute

Una foto tratta dal profilo Twitter di Miss Bitcoin (Ansa)

Una foto tratta dal profilo Twitter di Miss Bitcoin (Ansa)

Roma, 8 gennaio 2018 - Miss Bitcoin ha gli occhi a mandorla. Si fa chiamare così suo social giapponesi Mai Fujimoto, la 32 enne che ha annunciato di aver investito tutti i suoi risparmi nella valuta virtuale da quasi un anno invece di metterli in banca. Il primo Bitcoin l'ha comprato nel 2012, spendendo 1.200 yen, circa 10 dollari, contro gli oltre 16.500 dollari attuali ma il salto concettuale lo ha fatto grazie alla piattaforma di donazione virtuale Kizuna, della quale è fondatrice: "Per la prima volta - racconta all'Afp giapponese - ho realizzato quanto fosse costoso mandare i soldi all'estero". Ed ecco i Bitcoin, grazie ai quali non avrebbe più dovuto passare attraverso le banche. 

In Giappone, del resto, la febbre per le valute virtuali è già scoppiata da un pezzo. Basta pensare che lì il Bitcoin è riconosciuto come moneta di corso legale. E infatti, complici le restrizioni di Cina e Corea del Sud, a dicembre circa un terzo delle transazioni globali in Bitcoin erano denominate in yen. Alcune grosse imprese giapponesi hanno iniziato ad accettare pagamenti in Bitcoin, rassicurate anche dall'endorsement del governo alla criptovaluta, ma c'è anche un aspetto monetario importante che spinge a cercare forme di investimento nuove, e cioè i tassi di interesse bassissimi della banca centrale in lotta contro la deflazione che attanaglia il Paese. Tra l'altro i profitti realizzati con il bitcoin trading non sfuggono al fisco nipponico, anzi: sono considerati come "entrate varie" e soggetti a un'aliquota fiscale più elevata del 55%.

Ma il Giappone non è l'unico Paese a cercare di trarre vantaggio dal mondo delle criptovalute. Il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, ha varato un decreto che offre un taglio delle tasse e incentivi a chi commercia in monete virtuali, con l'obiettivo di fare del paese un vero e proprio crypto-hub. E poi c'è chi sta studiando una propria criptovaluta per arginare le sanzioni ecomoniche, vedi la Russia o il Venezuela. Ma mentre Putin è ancora agli annunci, Maduro è andato oltre: il Petro sarà lanciato sul mercato nei prossimi giorni. Con l'obiettivo "di aggirare la tirannia del dollaro". Non sarà del tutto 'virtuale', nel senso che sotto ci sarà la garanzia dei 5 miliardi di barili del blocco Ayacucho nel giacimento dell'Orinoco, e avrà grosso modo il valore di un barile per un totale di circa 5,9 miliardi di dollari, cioè un Petro varrà 59 dollari. I pezzi lanciati sul mercato saranno 100 milioni. Riuscirà questa mossa finanziaria creativa a dare ossigeno a un Paese che nel 2017 ha visto l’inflazione raggiungere l'iperbolica cifra del 2.700%? Lo vedremo presto.

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