Roma, 17 giugno 2023 – Il caso Pirelli sul quale siete intervenuti ripropone la questione più ampia dei rapporti con la Cina e della tutela dei nostri interessi strategici del Paese: quale è l’impostazione generale del governo ministro Adolfo Urso?
"Quella di ridurre i rischi politici e di aumentare le opportunità economiche, consapevoli del ruolo e delle potenzialità che l'Italia ha nel mondo e, nel contempo, che la Cina sia un grande attore nella economia globale. Proprio per questo anche nell'utilizzo del golden power a tutela della sicurezza nazionale abbiamo sempre evidenziato le funzioni dello "Stato stratega" che indica la rotta e crea le migliori condizioni per il mercato, con meno divieti e più prescrizioni".
Con quali sviluppi nell’utilizzo dei poteri speciali?
"La sicurezza degli asset strategici nazionali è sempre più importante in questo contesto geopolitico in cui dobbiamo garantire la autonomia strategica dell'Europa a fronte della duplice transizione ecologica e digitale che cambia gli equilibri globali. Nella scorsa legislatura sono stato presidente del Copasir e da quell'incarico ho accompagnato l'evoluzione dello strumento. Cinque anni fa lo Stato poteva utilizzare il golden power solo nell'ambito della difesa e della sicurezza nazionale. Ora essa è estesa alla robotica e al cyber, alle tlc e alla siderurgia, all'energia, ovviamente anche alla farmaceutica e persino agli elementi critici della alimentazione".
In termini operativi come vi siete mossi?
"I procedimenti di questi mesi lo dimostrano: il governo ha esercitato il golden power sempre nell'ambito delle procedure del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, proprio perché la tecnologia e i processi produttivi sono diventati fondamentali per garantire la sicurezza della Nazione. Aggiungo che solo in un caso abbiamo apposto un divieto, nei confronti di un soggetto russo; negli altri dodici casi abbiamo posto sempre prescrizioni, cioè condizioni efficaci per tutelare asset strategici - tecnologia, dati, informazioni - e in alcuni casi la produttività, l’occupazione, la salvaguardia ambientale".
Anche nei confronti della Cina?
"Non solo di Cina e Russia, anche su operazioni di aziende occidentali. Noi non abbiamo pregiudizi quando si tratta di tutelare la sicurezza nazionale, così vastamente intesa. L'esercizio del golden power - attraverso prescrizioni che rendono l’investimento in linea con le priorità nazionali strategiche e di sicurezza - ha riguardato anche soggetti di Turchia, Francia, Svizzera, Usa, Lussemburgo, Isola di Jersey e, con Isab di Priolo, anche una azienda cipriota/israeliana. Uso accorto, calibrato, mirato, efficace. Mai ideologico".
Con la Cina c’è, però, il Memorandum della Via della Seta: quale è lo stato dell’arte?
"Partiamo da un dato di fatto. In questi cinque anni la nostra bilancia commerciale con la Cina è notevolmente peggiorata. È aumentato l'import in Italia di prodotti cinesi ma non l'export italiano in Cina. Solo lo scorso anno abbiamo avuto un piccolo riscontro dovuto esclusivamente ad un farmaco prodotto da una azienda farmaceutica nelle Marche che contrasta il Covid. Due miliardi in più per un medicinale! Il resto langue".
E gli altri Paesi europei?
"Gli altri grandi Paesi europei, come noi parte del G7, mi riferisco a Germania e Francia, hanno fatto gli affari. Noi siamo stati l'unico Paese del G7 a firmare un memorandum strategico con la Cina e l'unico a non guadagnarci nulla sul piano economico. Anzi. La via della Seta era la via dei mercanti, non uno strumento politico. La storia insegna".
Export e Made in Italy: la difesa del Paese e dei suoi interessi economici, dunque, passa anche dalla presenza dell’Italia all’estero. Come siamo messi?
"L’Italia è tra i primi 10 esportatori mondiali e, considerando il peso delle esportazioni in rapporto al Pil, il nostro Paese ha una “vocazione estera” da primato, inferiore solo alla Germania. Nel 2022 l’export ha registrato una crescita del 20%, grazie soprattutto ai settori trainanti del Made in Italy, alla chimica e alla farmaceutica. Nei primi mesi di quest'anno siamo quasi al 18 per cento, anche se dobbiamo stare attenti alle conseguenze della recessione tedesca. Crescono inoltre gli investimenti stranieri nel nostro Paese".
Che cosa fare per valorizzare ulteriormente il nostro export?
Lo scorso 31 maggio abbiamo approvato in Consiglio dei Ministri il disegno di legge per il Made in Italy che ha introdotto nuove misure per rafforzare le filiere produttive nazionali, a cominciare dal Fondo sovrano che potrà contare su uno stanziamento iniziale di un miliardo di euro e che sarà lo strumento per canalizzare le risorse di soggetti pubblici e privati, nazionali e stranieri, mi riferisco alle casse previdenziali come ai fondi sovrani stranieri. Uno dei più grandi fondi di investimento mondiali (Blackstone) ha evidenziato nel suo report agli investitori come l'Italia sia diventato il luogo ideale per investire in Europa".
A livello europeo come ci possiamo e dobbiamo muovere sul fronte delle produzioni e delle attività strategiche?
"Quando parliamo di nuove tecnologie, dobbiamo sempre aver presente che le innovazioni portano con sé anche dei rischi di varia natura, tra cui quella sull’indipendenza e sulla sovranità dei Paesi. Prenda il caso del settore dei microprocessori, la mancanza di chip ha bloccato interi settori produttivi. Per questo, dopo il via libera europeo al cosiddetto Chips Act europeo, faremo un Piano nazionale per la microelettronica che declinerà gli obiettivi di quel pacchetto di norme nella realtà del nostro Paese. Credo che sarà uno strumento molto importante per rendere l'Italia ancora più attrattiva per quanto riguarda gli investimenti nel settore. Siamo già impegnati nel presentare le linee guida del nostro piano alle più importanti aziende e potenziali investitori: nelle scorse settimane una delegazione del mio ministero si è recata a Taipei, a Seul, a Washington e a Tokyo. I riscontri sono molto positivi, l’Italia è tornata a essere un Paese in cui il mondo vuole investire, perché dimostriamo di voler affrontare sfida della transizione digitale con il giusto pragmatismo e altrettanta determinazione".
Lei ha più volte sottolineato l’esigenza di sviluppare in Italia la ricerca delle terre rare: a che punto siamo?
"La Commissione europea sta finalizzando un rapporto che individua 34 materie prime critiche. Stabilisce che dovremmo estrarne, entro il 2030, almeno il 10% dai nostri territori, lavorarne il 40% e riciclarne il 15% entro il 2030. In Italia abbiamo 15 di queste materie, ma sono in giacimenti chiusi 30 anni fa. Si trovano principalmente in aree protette in Liguria, Toscana, Campania, Sardegna e arco alpino. Abbiamo il più grande giacimento di cobalto in Europa, titanio, manganese, litio. Se l’Europa chiede di sfruttarli, e noi siamo d’accordo, deve darci gli strumenti legislativi, normativi, amministrativi e finanziari per poterlo fare compiutamente ed entro i termini previsti. E noi lo faremo perché sia chiaro a tutti: è tornata l'Italia del fare. L'Italia orgogliosa della sua scienza e della sua tecnologia, delle sue imprese e del suo modello sociale. Ecco, appunto: non siamo più una anomalia nell’economia occidentale, ma il modello che altri vogliono imitare".