Venerdì 19 Aprile 2024

La giungla dei medici di famiglia. Troppi pazienti, cure impossibili

Il segretario della federazione: più assistiti abbiamo e più guadagniamo, ma così il servizio diventa scadente. L’Emilia-Romagna fissa il tetto a 1.800 pazienti. Ma in altre regioni c’è chi sfora, servono altri 10mila medici

Foto generica di un medico di famiglia: in Italia sono 40.769 per 58,8 milioni di abitanti (uno ogni 1.442 cittadini)

Foto generica di un medico di famiglia: in Italia sono 40.769 per 58,8 milioni di abitanti (uno ogni 1.442 cittadini)

Roma, 13 aprile 2023 – La medicina di territorio è sempre nell’occhio del ciclone. In Emilia Romagna a causa della "perdurante carenza di professionisti" resta in vigore il piano straordinario che prevede per ogni dottore di avere fino a 1.500 pazienti nei primi due anni, per salire fino a 1.800 al terzo anno. In tutta Italia, durante la pandemia, i medici di famiglia sono stati accusati di non aver fatto da filtro. Ora molti pazienti si lamentano di non ricevere assistenza, pur riponendo fiducia nei camici bianchi. Ci sono professionisti che contano anche 2mila assistiti quando dovrebbero averne la metà per poter lavorare davvero bene.

Professor Silvestro Scotti, in Italia c’è un medico di famiglia ogni 1.442 abitanti (in Lombardia un medico ha in media 1.500 pazienti, in Sicilia 1.034).

"Il problema è reale, in Italia è stata sbagliata la programmazione – risponde il segretario generale della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg) –. Andando avanti così la medicina generale nel 2026 non ci sarà più: 10mila dottori andranno in pensione, con un ricambio che ne coprirà forse 3mila. Poi c’è un altro problema: il concetto di media paziente è stato creato negli anni ’70 quando l’Italia era un Paese giovane, ora siamo i più vecchi e gli anziani sono pazienti multicronici con cure primarie complesse. Siamo un Paese che ha deciso di andare avanti senza cure primarie, perché tra un po’ diventeranno un lusso".

Come si risolve questa carenza di organico?

"Con investimenti. Nel 2019 sotto il ministro Speranza sono stati stanziati 235 milioni di euro per fare diagnostica negli studi. Sono gli unici fondi non spesi in questi due anni. Servono equipe multiprofessionali con strumenti diagnostici di alto livello che aiutino i medici di base. Come gli infermieri, che possono svolgere questo ruolo prendendo parte al team del dottore. Serve assumere e inquadrare come dirigente medico chi era stato fatto entrare nel sistema emergenziale. Bisogna valorizzare i piccoli centri cittadini, poco appetibili per i giovani".

Sarebbe d’accordo a levare il numero chiuso al test di Medicina?

"Assolutamente sì. C’è bisogno di più medici rispetto alla domanda e i giovani possono mantenere in piedi il sistema. Nuovi laureati sono un investimento, così come dovrebbero esserci più ospedali universitari per riversare i laureandi sul territorio".

Quanto guadagna in media un medico di base?

"La busta paga per chi attiva quote variabili con circa 3,5 euro al mese per ogni assistito, arriva a 3mila-3.500 euro, perché bisogna togliere un 20% di spese professionali che sosteniamo".

Quindi più pazienti ha un medico, più guadagna.

"Diciamo che c’è un migliore rapporto guadagno-spese. Ma nessun dottore vuole più pazienti, perché non è possibile gestirli bene. Il tetto formalizzato di assistiti, fra l’altro, al momento è in aumento, e questo significa sempre meno attenzione al malato. Così si contentano i cittadini e basta".

Abbassare il numero di assistiti e aumentare lo stipendio sarebbe la soluzione?

"Sì, ma è impossibile. Bisogna lavorare per aumentare i medici di famiglia. Ne servono almeno 3mila al momento, poi se ne aggiungeranno altri 7mila con le pensioni. Un quarto degli italiani rischia di restare senza medico di base".

Quali sono le altre falle del sistema che chiedete di risolvere?

"Servono nuovi modelli organizzativi: nelle grandi città c’è la possibilità di mettere insieme più medici, creando punti di accesso facilmente raggiungibili dal quartiere e garantendo così l’assistenza continuativa a tutti e quella specialistica ai pazienti".

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