Qualità di corsa. Santini veste la maglia gialla al Tour de France

Qualità di corsa. Santini veste la maglia gialla al Tour de France
Qualità di corsa. Santini veste la maglia gialla al Tour de France

COME TUTTE LE STORIE meravigliose, anche quella di Santini è nata per caso. Con un infortunio sul lavoro del fondatore, Pietro Santini, costretto a casa con le sorelle dopo che si era fatto male saldando tubi alla Dalmine. Lì, fra le quattro mura di casa, le osservava alle prese con lavori di sartoria. E si è accesa la lampadina, da grande appassionato di ciclismo qual era (ed è): perché non creare abbigliamento per ciclisti fatto a mano? Era il 1965, e da lì il gregario Pietro Santini – classe di ferro ’45 – è diventato capitano. Leader di un’azienda che fattura oltre 30 milioni, produce 700mila pezzi all’anno e ne esporta l’85% in tutto il mondo, dalla Svizzera a Taiwan. Finché, da capitano vero, ha capito che era il momento giusto per passare il testimone a chi “ha la gamba“ ed è più fresco. Chi meglio delle amate figlie, Monica e Paola, per continuare l’ascesa? "Mi raccomando, non mi fate fare brutta figura, detto in dialetto bergamasco, ci ripeteva", sorridono oggi Monica, Ceo dell’azienda, e Paola, direttrice marketing. Il marchio Santini è finito così sulle maglie di generazioni di campioni, dal Pantani dell’anno magico, il ’98, della doppietta Giro-Tour, a Giulio Ciccone della Lidl-Trek, squadra supportata dal brand “made in Bergamo“. Soprattutto, l’accordo firmato con il Tour de France ha consentito di vestire l’iconica maglia gialla. L’intesa siglata nel 2021 secondo le previsioni dovrebbe portare l’azienda a raddoppiare il fatturato nei prossimi 5 anni. "Ci sono state di mezzo il Covid e le guerre – ammette Monica – ma siamo in linea con le previsioni. L’obiettivo non cambia: fatturato fra 40 e 50 milioni". Nel frattempo, Santini è finito sulle maglie ufficiali di Vuelta, Campionati Mondiali (non a caso è la “Rainbow factory“), classiche Monumento come la Parigi-Roubaix o gare iconiche per migliaia di cicloamatori come l’Eroica. "In più esploriamo mondi come il triathlon, con l’Ironman, e siamo stati i primi a credere nel ciclismo femminile, tanto che ci investiamo il 40% del budget". E i primi risultati si vedono: "Se la concorrenza con lo sport femminile fattura il 10% del totale, noi siamo intorno al 20%", ragiona Paola.

Passione dello sport, sì. Ma con l’idea fissa della sostenibilità. A partire dalla scelta della nuova sede, tirata a lucido. "Avremmo potuto costruire ex novo la nostra sede, invece abbiamo scelto di recuperare un luogo storico di Bergamo". Un monumento datato 1960 all’architettura brutalista come la ex fabbrica ex Perofil disegnata dal maestro Giuseppe Gambirasio. Nel cuore della città, l’architetto Marco Acerbis – bergamasco pure lui, con un passato a Londra – ha creato un gioiello prima nascosto agli occhi e ora svelato, "quasi fosse il telaio di una bella bicicletta", sussurra lui. Via la facciata rosso mattone, via le gigantesche statue che popolavano il parco circostante; ecco 14mila metri quadrati di verde, seimila di produzione, mille di uffici e 460 di showroom, con un impianto fotovoltaico da 290 kwh.

Un gioiello, nato da una scelta di cuore. "Eravamo nel pieno del Covid - ricorda Acerbis - quando ci spiegavano che saremmo rimasti per sempre in casa a lavorare al pc. Eppure io, anzi noi eravamo convinti che le persone sarebbero tornare ad incontrarsi, così abbiamo pensato a una sede “user friendly“". Tanto che il negozio ora è nel cuore dell’azienda, per creare emozioni. E lo showroom è un vero museo di memorabilia nel quale gli appassionati di ciclismo possono farsi cullare dalle emozioni. Una filosofia condivisa con i dipendenti, saliti dai 68 del 2017 ai 150 di oggi. Età media 36 anni, il 75% di donne. "Ai nostri collaboratori offriamo corsi di inglese “one to one“, frutta fresca sempre gratis e la mattina corsi di yoga nel parco. "Spesso anticipiamo i loro bisogni con “survey“ interne. Perché se la nostra gente sta bene, lavora anche meglio", sorride Paola. Su quel fronte, piuttosto, il problema è trovare nuove forze per la sartoria. "Facciamo fatica a trovare le persone adatte, partecipiamo ai corsi di formazione in collaborazione con Assolombarda, ma è difficile trovare nuove forze artigianali, persone pronte a imparare, a mettersi in gioco nella modelleria, nel cucire a macchina", sospira Monica.

L’azienda, intanto, continua a pedalare il suo Giro del mondo nei mercati. Paola e Monica, in questi anni, di offerte di acquisto ne hanno ricevuta tante. "Ma non le abbiamo mai prese in considerazione: ci divertiamo troppo a lavorare. Sai che noia andare in pensione giovani alle Seychelles...", sorridono. Mentalità bergamasca. Radici. "Siamo fortunate perché abbiamo avuto un papà intelligente che ci ha sempre sostenuto". E al gender gap, loro, non hanno mai pensato troppo. "Ho sempre tirato dritto, e se a qualcuno non andava bene di avere a che fare con una donna, lo convincevo con la competenza in 5 minuti", scandisce Monica. Paola, accanto, annuisce. "Siamo diverse, ma sempre unite". Perché la famiglia resta il cuore dell’azienda, che al momento non è quotata in Borsa. "Seguiremo un corso Elite della Borsa, per allargare gli orizzonti". D’altronde, con i numeri attuali, "fuori dalla porta c’è la coda di banche pronte a finanziare nuovi progetti". E le idee ci sono sempre, in un’azienda che reinveste il 5% del fatturato in ricerca e sviluppo. Nuovi materiali, prototipi testati spesso con la Nazionale australiana di ciclismo, e sostenibilità. Tessuti sempre più riciclabili e meno inquinanti. Tra “washing bags“ a rilascio zero di microplastiche e detergenti vegetali. Con un punto fermo. "La maggior parte dei nostri fornitori di tessuti è nella Bergamasca, qui in sede ci sono le lavorazioni, noi non produciamo in Cina o altrove, siamo e restiamo qui", assicurano le sorelle Santini. "Piedi grossi, cervello fino, come ci consigliava papà". E già il ricordo della frase ripetuta dal papà, che ancora oggi tutti i giorni è in sede, strappa un’affettuosa risata a entrambe.

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