Lunedì 23 Giugno 2025
TOMMASO PIETRO PAO PAPA
Made in Italy

L’avvocato che inventò la tutela del disegno industriale

NELL’AMBIENTE LO DEFINISCONO l’inventore del diritto industriale, cioè - in parole povere – l’inventore delle leggi che difendono le invenzioni....

NELL’AMBIENTE LO DEFINISCONO l’inventore del diritto industriale, cioè - in parole povere – l’inventore delle leggi che difendono le invenzioni....

NELL’AMBIENTE LO DEFINISCONO l’inventore del diritto industriale, cioè - in parole povere – l’inventore delle leggi che difendono le invenzioni....

NELL’AMBIENTE LO DEFINISCONO l’inventore del diritto industriale, cioè - in parole povere – l’inventore delle leggi che difendono le invenzioni. Giuseppe Sena (nella foto) è un milanese doc e se ne vanta: madre e nonni materni meneghini, papà commercialista nato in Puglia ma venuto giovanissimo a studiare al Nord. Sta per compiere 95 anni, è avvocato dal 1954 (da poco lo hanno festeggiato in tribunale per i 70 anni di professione forense) e ama ironizzare sulla propria età. Che però non gli ha tolto nulla né della verve né dell’eloquio efficace del docente di razza. Nel suo studio milanese aperto nel 1960 (altro non trascurabile record, 65 anni di attività), le finestre che guardano la chiesetta di San Babila, è passata una parte della storia del design italiano. Le grandi firme dalle quali è nato quello che oggi è il Salone del mobile, forse non esisterebbero. Hanno potuto svilupparsi e conquistare il mondo grazie a quell’elemento immateriale ma indispensabile che è la tutela giuridica del prodotti, oggetti trattati - quando lo meritano - come vere opere d’arte.

Professor Sena, può raccontare come ha iniziato?

"Sin dall’inizio, assieme all’attività legale, svolgevo anche quella universitaria: gli studi da una parte, la pratica concreta dall’altra. All’epoca gli studi professionali in materia di proprietà industriale erano uffici tecnici, che depositavano brevetti e marchi ma non si occupavano di contenuti giuridici. Qui a Milano, gli unici a farlo eravamo io e l’avvocato Adriano Vanzetti, che era anche docente alla Cattolica, mentre io insegnavo alla Statale. Eravamo i soli due professionisti della materia, spesso uno contro l’altro in tribunale, anche se eravamo molto amici nella vita. Da quella esperienza sono state gettate le basi di ciò che definiamo diritto industriale".

In pratica cosa è cambiato?

"Nella nostra legislazione, allora, i brevetti tutelavano le invenzioni, i marchi l’aspetto commerciale del prodotto. La sua forma, però, la caratteristica che lo rendeva unico al di là delle specifiche tecniche, non veniva considerata. Invece aveva un grande interesse economico: quindi serviva una disciplina che risolvesse le controversie giuridiche tese a salvaguardare il suo valore. Il riconoscimento delle opere del disegno industriale, che oggi chiamiamo design, è il risultato di anni di elaborazioni teoriche e di sfide teoriche, nate nelle università (tra i due alfieri e fondatori del diritto industriale Sena era considerato il progressista, Vanzetti il conservatore, ndr) e finite nei tribunali. Alla fine si è affermato un vero e proprio diritto d’autore, come per un quadro".

Questa evoluzione cosa ha comportato?

"Il primo esempio che mi viene in mente è quello della Vespa (nella foto a sinistra), che abbiamo difeso come prodotto industriale e oggetto del diritto d’autore. Era solo uno scooter che in fondo si poteva copiare? O aveva un valore legato all’estetica e alla carica innovativa? Per anni si è dibattuto su questo punto. Professori autorevoli come il professor Alpa (Guido Alpa, illustre giurista recentemente scomparso: nel suo studio ha lavorato anche l’ex presidente del consiglio, Giuseppe Conte, ndr) hanno sostenuto che il pregio estetico non poteva identificare un prodotto industriale. Per noi invece il design merita una tutela autoriale, che ora è esplicitamente riconosciuta dalla legge (e garantisce 70 anni di protezione, ndr)".

Con la Vespa come è finita?

"Le nostre controparti erano i cinesi. Avevano copiato il prodotto di Piaggio e ci sono voluti 15 anni per affermare che non potevano farlo. Alla fine, nel 2023, la Cassazione ha detto la parola fine e ci ha dato ragione".

E, accanto alla Vespa, di cosa vi siete occupati? "Per fare qualche nome, abbiamo sostenuto le ragioni della Fondazione Le Corbusier per gli oggetti prodotti in Italia da Cassina: pezzi celeberrimi come la chaise longue e altre poltrone. In Francia erano tutelati, qui no".

Molte delle aziende che avete seguito sono fiori all’occhiello dell’industria italiana, ma chi li minacciava?

"Nel caso di Le Corbusier altri mobilieri della Brianza che volevano copiare le sue sedie coi tubolari che si ispirano alle thonet. Più in generale, produttori che usano materiali scadenti che ledono il valore estetico del progetto, le definiamo copie servili".

La sequenza di cause legali seguite da Sena è impressionante: quella sui diritti di Le Corbusier si svolge dal 1990 al 2004, con una coda nel 2014-2016. Lo studio si occupa anche di classici come i pezzi di Rietveld e di Frank Lloyd Right. Nel 2010-2015 è la volta delle lampade di Artemide e del concept dei negozi KiKo. Passiamo ai marchi: ci sono quelli di Ferrero, Duplo, Fetta al Latte, Rocher, e prima ancora lo snack "Cipster" di Saiwa. Nel 2010 la minaccia d’imitazione servile (respinta) riguarda la lampada Tolomeo di Artemide, tre anni dopo il disegno cashmere dei tessuti di Etro. E poi un altro modello iconico: la lampada ad arco di Flos. Persino i colori hanno la loro importanza, ad esempio l’orange di Veuve Clicquot insidiato da etichette simili di altri viticoltori. Professor Sena, oggi tutto è cambiato. "Certo, anche in Italia, la tutela delle opere dell’ingegno si è allargata. È consolidato il concetto di concorrenza sleale per il quale un prodotto non deve essere confondibile con un altro".