
L’anno d’oro di Bitto e Casera. Volano le vendite dei Dop lombardi
UN “FORMAGGIO EROICO“ che piace ai consumatori, non solo lombardi, il Bitto prodotto insieme al “cugino“ Valtellina Casera in provincia di Sondrio, da un unico consorzio che riunisce oltre 200 soci: i produttori di latte, quelli di formaggio e gli stagionatori tre figure, che spesso coincidono in una sola, fondamentali per rendere eccellenti due prodotti già di per sé unici. Entrambi a marchio Dop Bitto e il Valtellina Casera, o semplicemente Casera, condividono la stessa terra e la stessa storia, ma non sono la stessa cosa. Il primo, il Bitto, è l’antico formaggio d’alpe, il Casera è un formaggio semigrasso di latteria. Nel primo caso l’origine risale ai Celti e la produzione, in base alle regole del disciplinare del consorzio, prevede l’impiego esclusivo di latte vaccino valtellinese, prodotto a giugno a settembre, nel periodo in cui le mandrie soggiornano nei pascoli in quota e la loro alimentazione è costituita prevalentemente dall’erba degli alpeggi. Il Valtellina Casera Dop invece si produce tutto l’anno nei caseifici locali, ma sempre partendo dal latte vaccino grazie alla sapienza dei casari che lo producono dal 1500. Allora come oggi la bontà di questi due formaggi è capace di conquistare i consumatori: negli ultimi cinque anni le due Dop della Valtellina hanno messo a segno un aumento del 18,2% in termini di produzione e un +13% per quel che riguarda i consumi. Il fatturato dei due formaggi si attesta complessivamente a 13,7 milioni di euro, con un valore al consumo di 26,2 milioni. Sono i dati resi noti nei giorni scorsi dal Consorzio di tutela, al quale aderiscono quasi 200 tra allevatori, produttori e stagionatori, piccole e grandi aziende zootecniche, latterie di paese e moderni caseifici.
Com’è andato il 2023?
"Per fortuna i nostri numeri sono positivi a dimostrazione che il lavoro dei nostri soci è stato proficuo, anche se hanno dovuto superare molte difficoltà – risponde il presidente del Consorzio di Tutela Valtellina Casera e Bitto (Ctcb), Marco Deghi (nella foto sopra) – Noi siamo l’unico consorzio tutela con due Dop al proprio interno, una scelta che nell’arco di questi trent’anni ci ha permesso di ottimizzare i costi. Il Valtellina Casera sta crescendo nei numeri e nel valore, il Bitto è da tempo una grande eccellenza riconosciuta, proprio per la sua produzione particolare: solo in estate e in alpeggio". Il Valtellina Casera negli ultimi 5 anni ha avuto un vero e proprio boom, sia a volume (+10,2%) che a valore (+32%). La produzione oggi si attesta a 15.236 tonnellate per un valore di 11,8 milioni di euro (+2,3% sul 2022). Nell’ultimo anno cresce anche l’export, che sfiora il +3,4%. Anche i numeri del Bitto sono positivi: 12.430 forme marchiate Dop per la stagione 2023, quasi il 3% in più rispetto a quelle del 2022.
A determinare una produzione più contenuta sono le particolari condizioni di produzione del Bitto?
"Ci sono tanti fattori diversi da prendere in considerazione. Prima di tutto la difficoltà di lavorare in quota in alpeggio per 90 giorni l’anno, durante la stagione estiva, una scelta anche di vita molto impegnativa che non molti sono disposti a fare".
Per questo definite il Bitto “formaggio eroico“?
"Lo è di sicuro, basti dire che dal 2018 a oggi gli alpeggiatori sono passati da 56 a 47. Purtroppo riuscire a garantire un ricambio è molto difficile, nonostante le soddisfazioni, anche dal punto di vista economico, non manchino. Il prodotto ha una maggiore remunerazione rispetto al Valtellina Casera che viene prodotto a valle e ad ottobre praticamente tutta la produzione era già stata venduta".
Un prodotto eccellente e ricercatissimo, ma in calo dal punto di vista della produzione, sembra un paradosso e invece è l’ennesima prova, se ancora ne servisse una, del vostro Dna di formaggio Dop...
"Negli ultimi cinque anni la produzione si è ridotta del 39%, in parte perché diversi produttori hanno smesso e non c’è stato un ricambio generazionale e soprattutto non si torva personale – in particolare i giovani – disposti a trascorrere l’estate in alpeggio. Poi ci sono le difficoltà oggettive dovute alla scarsa produzione di foraggio. Il 2022 da questo punto di vista è stato un anno di enormi difficoltà, la siccità ha ridotto drasticamente la produzione in quota e molti allevatori sono dovuti rientrare anzitempo perché non c’era più erba nei pascoli. Per fortuna quest’anno è andata meglio e la stagione è stata più clemente, ma i dati ci dicono che in generale la produzione di latte è in diminuzione, una leggera flessione, ma indicativa di un cambiamento che ha avuto il suo anno spartiacque nel 2022. Per un prodotto come il Bitto che deriva la sua azotemia dal latte prodotto in alpeggio, grazie alla particolare alimentazione delle mucche, questo rappresenta un problema".
Che strategie ha adottato il consorzio per cercare di affrontare questi problemi?
"Da tempo abbiamo avviato una collaborazione con la scuola agraria di Sondrio che è molto valida e offre una preparazione d’eccellenza a tanti nostri ragazzi che, a differenza di quel che accadeva in passato quando l’agricoltura e l’allevamento erano l’ultima scelta, decidono di mettersi in gioco. Un altro dei nostri obiettivi è ampliare la notorietà del prodotto: oggi i mercati sono prevalentemente lombardi, ma il gradimento è sicuramente più ampio anche grazie al passaparola dei turisti che vengono in Valtellina, gustano il Bitto e il Casera e poi li cercano quando rientrano a casa . Certo la nostra è una produzione limitata e non possiamo arrivare su tutti i mercati, ma certamente cercheremo di migliorare la nostra distribuzione, sempre garantendo la massima qualità che è il nostro primo obiettivo".