Martedì 17 Settembre 2024

La sfida: costruire in modo ecologico e responsabile

"IN FIN DEI CONTI, l’architettura ha solamente tre modi per esprimersi: la geometria, la materialità e la luce. Deve usarli per raccontare le sue storie". Parola di Dietmar Eberle (nella foto), fondatore dello studio d’architettura Baumschlager Eberle e fra i protagonisti dell’evento di Qn Economia, giovedì a Firenze. Il professor Eberle racconta della necessità di riorientare la comprensione dell’architettura, da intendersi non più di mero utilizzo ma come valore aggiunto per la collettività. Anche capire come come gli edifici possano invecchiare dignitosamente – attraverso l’accettazione sociale e culturale – è una sfida interessante per l’architetto. L’obiettivo è capire che l’apprezzamento, l’identità, la “bellezza” o la popolarità di un edificio oggi sono aspetti fondamentalmente più importanti della semplice impronta di carbonio, se si mira a una costruzione ecologica e responsabile. "Quindi tutti dovrebbero chiedersi: cosa cambierà se costruisco qui? Solo così si potrà aumentare il valore di un immobile, rendendolo mutabile nel corso del tempo e favorendone così il radicamento nello spazio pubblico".

Professore, come rendere l’architettura credibile in un contesto caratterizzato da restrizioni sempre maggiori?

"Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Questo perché uno dei vincoli preponderanti è rappresentato proprio da ciò che sta accadendo nel mondo dell’architettura. Mentre in passato erano la funzione e l’utilità a determinare la forma, l’espressione e la credibilità degli edifici, lo sviluppo che ha caratterizzato le possibilità di produzione, basti pensare al Bauhaus, ha cambiato l’intero modo di pensare all’architettura. L’approccio che vede l’architettura confinata alla funzione e allo scopo dell’edificio risale al XX secolo e non ha nulla a che vedere con il pensiero del XXI secolo".

Quali le differenze?

"Nel XX secolo gli edifici venivano costruiti in funzione di una sola generazione, senza considerare le generazioni successive, con uno stile di vita completamente diverso, che concepiscono e utilizzano gli spazi in modo altrettanto diverso. A mio avviso, la vera sostenibilità e un’identità più profonda dovrebbero caratterizzare almeno un secolo di storia. La grande domanda del XXI secolo è quale contributo possa dare un edificio allo spazio pubblico. Ma oggi nessuno prende in considerazione questo aspetto durante il processo di pianificazione pubblica".

Con quali conseguenze?

"L’architettura odierna, analogamente agli edifici degli anni ‘60 e ’70, diventa sinonimo di basso livello di accettazione sociale. In altre parole, la questione della crescita quantitativa nel nostro sviluppo sociale sta già raggiungendo i suoi limiti su molti livelli: ovunque guardiamo, riconosciamo che le cose non possono andare avanti così. Dobbiamo cambiare radicalmente il nostro modo di pensare e iniziare a vedere nell’edificio, l’elemento in grado di definire lo spazio pubblico. Mentre i nostri centri storici sono spazi pubblici, i nuovi quartieri, nella maggior parte dei casi, non lo sono, e trovo che questa sia davvero drammatico".

Cos’è l’"architettura autentica"?

"È quella in cui si registra un’elevata corrispondenza tra i valori trasmessi e la persona che li ha sviluppati. Un’architettura di questo tipo è quindi molto individuale e difficile da rendere spazio collettivo, perché strettamente legata all’individuo. Ai miei occhi, un’architettura seppur originale, semplice, pulita e fedele ai materiali non è ancora del tutto autentica, ma è comunque un approccio che mi sta a cuore. Possiamo analizzare i tempi passati e tradurre le conoscenze del passato nel presente. Io stesso ho studiato a fondo il tema dell’energia e sono giunto alla conclusione che tutti gli edifici costruiti precedentemente alla Prima guerra mondiale sono molto più ecologici di quelli costruiti dopo la Seconda".

Giada Sancini