Lunedì 28 Aprile 2025
MADDALENA DE FRANCHIS
Made in Italy

Consitex sposta in Italia una parte del reparto taglio

È STATA una delle parole più in voga all’indomani della pandemia da Covid-19, sebbene il fenomeno fosse iniziato, in sordina,...

È STATA una delle parole più in voga all’indomani della pandemia da Covid-19, sebbene il fenomeno fosse iniziato, in sordina,...

È STATA una delle parole più in voga all’indomani della pandemia da Covid-19, sebbene il fenomeno fosse iniziato, in sordina,...

È STATA una delle parole più in voga all’indomani della pandemia da Covid-19, sebbene il fenomeno fosse iniziato, in sordina, da ben prima del 2020: parliamo del ‘reshoring’ (letteralmente, ‘rimpatrio’), il rientro delle attività produttive o della catena di fornitura in precedenza delocalizzate in altri Paesi. All’epoca, qualcuno aveva già gridato alla fine della globalizzazione: in realtà, in questi anni non abbiamo assistito esattamente a un ‘rimpatrio’, ma a una più complessa riorganizzazione dei processi industriali. Ora, questa riorganizzazione interessa anche il Piemonte, più precisamente l’azienda Consitex, che è parte del gruppo Zegna ed è attiva nel settore del tessile-abbigliamento. Di recente, infatti, i vertici di Consitex hanno deciso di riorganizzare la produzione e tornare in parte in Italia, a causa dei costi troppo elevati della manodopera in Svizzera. La novità riguarda, in particolare, il reparto taglio, che sarà trasferito da Mendrisio, comune del Canton Ticino ad appena otto chilometri dal confine con l’Italia, a Oleggio, in provincia di Novara. Proprio laddove, durante la pandemia, la produzione era stata riconvertita per realizzare 250mila camici, da destinare ai medici della regione Piemonte, e altri 30mila al personale medico del Canton Ticino. La presa di posizione di Consitex è chiaramente riconducibile al progressivo aumento del salario minimo legale in Ticino e all’andamento del tasso di cambio del franco svizzero, sempre più forte rispetto a euro e dollaro. Il 1977, anno in cui Zegna spostò la produzione di Consitex dal Piemonte al Ticino proprio per beneficiare di un costo del lavoro più basso del 25%, appare, ora, più che mai lontano.

Tornare a produrre in Italia farà risparmiare all’azienda il 30% dei costi da sostenere per la manodopera. Il fenomeno del ritorno in patria riguarda, in particolare, proprio il settore del tessile. La quota di tessile-abbigliamento realizzata in Italia è rimasta pressoché stabile negli ultimi tre anni e rappresenta il 53% della produzione nazionale, ma si è delineata una certa tendenza a riportare a casa gli impianti, specialmente tra le aziende di fascia alta. Per le imprese di fascia media, invece, solo un terzo dei prodotti viene realizzato in Italia e due terzi all’estero, in particolare in Cina, Romania e Turchia.

Un altro dato interessante è quello relativo alla crisi globale del 2008, passata alla storia come ‘crisi dei mutui subprime’: le aziende che hanno reagito meglio sono state proprio quelle in grado di controllare l’intera filiera nel nostro Paese. Quella di Consitex, tuttavia, non è una chiusura totale con i vicini svizzeri, rassicurano i vertici: l’azienda continuerà a mantenere nel cantone le fasi di lavorazione a più alto valore aggiunto. Mendrisio, insomma, resterà centrale per il servizio su misura, i prototipi e il campionario. Il trasferimento del reparto taglio sarà completato entro la fine del 2025.

La notizia del ‘reshoring’ di Consitex è stata accolta in modo ambivalente, in realtà, sia dall’opinione pubblica che dagli esperti di mercato del lavoro: se, da un lato, il ritorno a casa di un’attività produttiva in precedenza delocalizzata all’estero può essere inteso come un punto a favore del sistema economico nazionale; dall’altro lato, la speranza di attrarre investimenti solo con la leva dei salari bassi (negli ultimi cinque anni, il potere d’acquisto dei nostri stipendi ha perso circa 8 punti percentuali, secondo dati Ocse) non può certo tradursi in una prospettiva incoraggiante per il nostro Paese. A queste perplessità ha replicato Gildo Zegna, amministratore delegato del gruppo, che ha ribadito l’importanza di continuare a investire per ‘mettere al sicuro’ la filiera, anche in un periodo complesso come quello attuale. Malgrado le turbolenze di mercato che, specialmente nell’ultimo anno, hanno fatto scricchiolare le aziende del lusso, il gruppo ha chiuso il 2024 con un fatturato di 1,9 miliardi e punta a raggiungere quota 2,4 miliardi entro il 2027.

"I clienti cercano il lusso senza tempo – ha dichiarato di recente Gildo Zegna (nella foto in alto) – Per poterlo fare, tuttavia, occorre avere la conoscenza del filo di lana, del tessuto, dei bottoni, di ogni singolo ingrediente, come nell’alta cucina. Nella nostra filiera sono necessari 500 passaggi di mano per la lavorazione della lana, dalla pecora all’abito: complessivamente, 18 mesi di tempo. Non tutti hanno un patrimonio cui attingere e la possibilità di gestire direttamente tutto il percorso, dalla pecora al negozio. Il lusso è soprattutto autenticità, che noi ritroviamo nei nostri 115 anni di storia. In questo momento, il miglior consiglio è seguire sé stessi".

Il gruppo conta attualmente circa 30 aziende che compongono la filiera e permettono di realizzare internamente oltre il 60% delle produzioni, salvaguardando, così, le competenze artigianali italiane. "A Parma costruiamo una nuova fabbrica per le calzature — ha spiegato ancora l’ad Zegna — con l’obiettivo di portare in casa oltre il 50% della produzione: per noi è un vantaggio competitivo sia per i processi di ricerca e sviluppo, sia per la rapidità del servizio. Questo ci consente di scomettere, peraltro, sulla personalizzazione che, per il gruppo, vale già oltre il 10% del fatturato".