«Ma i numeri non tornano ll Governo si muova subito»

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Avere contezza di quali siano le reali dinamiche del mercato del lavoro è la premessa necessaria per poter valutare le politiche avviate e prevederne di nuove. La profusione compulsiva di numeri, tuttavia, spesso non aiuta ad avere un quadro compiuto; le letture ‘laterali’ di questa o quella parte politica, poi, provano da sempre a strumentalizzare i numeri per finalità collegate più al consenso che alla ricerca di soluzioni efficaci. Una prospettiva neutra sul mercato del lavoro e, semmai, interessata a più occupazione è quella delle Agenzie per il lavoro, che hanno rapporti quotidiani con decine di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori. Assolavoro è l’associazione di categoria e rappresenta l’85% del settore. Alessandro Ramazza è il presidente.

Presidente, quali sono le principali evidenze del mercato del lavoro?

«Lo scenario non si presta ai toni ottimisti di alcuni commentatori. Per più ragioni. Le persone che hanno un contratto stabile nell’ultimo anno sono un po’ aumentate (al di là dai dati più recenti di agosto), ma a fronte di questo elemento è di molto cresciuto il cosiddetto part-time involontario, spesso ben sotto il 50% del tempo pieno; al 30% o anche meno».

La vostra lettura collega questo al Decreto Dignità?

«È evidente che le limitazioni sopravvenute per i contratti a tempo determinato, alle dirette dipendenze dell’azienda o anche in somministrazione, hanno determinato una reazione da parte delle imprese. Da una parte sono stati assunti a tempo indeterminato più rapidamente coloro che avevano una professionalità più spendibile, dall’altra moltissimi sono passati da una occupazione, seppur a termine, con i diritti, le tutele e la retribuzione del lavoro dipendente, come è la somministrazione, verso forme di lavoro meno tutelanti o verso la disoccupazione».

Ma l’Istat certifica che la disoccupazione è la più bassa dal 2011.

«È vero, ma detta così rischia di rimanere una informazione monca e fuorviante. Il calo della disoccupazione è un buon segnale se contemporaneamente aumenta l’occupazione. Qui parliamo invece di una diminuzione di disoccupati per 87mila unità e di un contestuale aumento di inattivi – ovvero di persone non registrate come disoccupate perché hanno smesso finanche di cercarla una occupazione – per 75mila. Un segnale preoccupante e l’ulteriore evidenza di come il cosiddetto Reddito di cittadinanza, mescolando misure contro la povertà e pretese di politica attiva abbia mostrato finora tutti i suoi limiti e di quanto necessiti di correttivi il Decreto Dignità».

Lo dice anche perché ci hanno rimesso le Agenzie?

«Ci abbiamo rimesso tutti: i lavoratori, le agenzie, la competitività di imprese e il sistema Paese. Al netto di alcune assunzioni stabili più veloci, emerge che la percentuale di persone che hanno contratti non stabili rimane intorno al 18%. Se diminuisce il numero di persone che hanno i diritti, le tutele e la retribuzione da lavoro dipendente previsti per il lavoro in somministrazione, è giocoforza che aumentino altre forme, tutte meno tutelanti».

È calato di molto il lavoro in somministrazione?

«Soprattutto è cambiato e il settore ha dimostrato grande flessibilità. D’altra parte, è solo così che si può spiegare il valore aggiunto in termini di competitività per le imprese che hanno le Agenzie e che è confermato anche da dati più recenti relativi al rapporto tra proiezione su mercati internazionali e affidamento sui nostri servizi. In ogni caso il calo c’è stato, le ore lavorate si sono ridotte del 4,5%, quello del numero di addetti del 5,4%, per una media mensile che ora si aggira intorno alle 432mila persone occupate. Sono di molto aumentati i lavoratori in somministrazione a tempo indeterminato, che oggi sono circa 78mila. Ci sono poi altri dati significativi».

Qualche esempio?

«Siamo la porta di ingresso dei giovani al mercato del lavoro. In un anno sono 100mila quelli che accedono al mondo dell’occupazione attraverso le Agenzie, e hanno più chance di avere dopo 12 mesi una stabilizzazione. Anche più opportunità di chi ha come prima occasione un contratto a termine con una azienda, lo dice il ministero del Lavoro. Formiamo 270mila persone in un anno e almeno un terzo devono poi accedere a un lavoro. Non basta. Attraverso le attività di ricerca e selezione del personale in un anno oltre 50mila persone vengono da noi individuate per essere assunte dalle aziende, solitamente per posizioni medio alte e con contratti stabili».

Che interventi auspica da parte del governo?

«Occorre intervenire per rivedere le causali per i contratti a tempo determinato, abolendole o rimandando alla contrattazione collettiva e va eliminato lo 0,5% di aggravio nel caso di rinnovo a termine, che penalizza e discrimina i lavoratori. Ci vorrebbero poi una lotta senza quartiere al lavoro nero, irregolare e sottotutelato e interventi sugli appalti che superino il dramma di lavoratori pagati meno di quanto prevedono i contratti collettivi e con meno tutele».

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