Ucraina, l'Occidente promette armi e sanzioni. Ma poi si ferma davanti ai gasdotti

Vertice tra il presidente Usa e gli alleati. La settimana prossima Bruxelles decide sullo stop al petrolio

Le sanzioni alla Russia

Le sanzioni alla Russia

Mentre a Mariupol tuonano le bombe russe super potenti, capaci di colpire anche i bunker più profondi, l’Occidente non è ancora capace di fare esplodere l’equivalente di quelle bombe nella guerra economica con cui spera di piegare Putin.

Ieri si sono confrontati in video-conferenza per oltre un’ora il presidente americano, Biden, i leader Nato e Ue, compreso il premier Mario Draghi, ma di gas non si è parlato. Il resoconto del meeting di Palazzo Chigi non va oltre il riassunto di quanto detto nei giorni scorsi. E cioè la preoccupazione per il fatto che "sarà una lunga guerra", con tutti i rischi del caso. E l’accordo sul fatto di far scattare nuove sanzioni contro la Russia "per rafforzare la pressione sul Cremlino e accrescere l’isolamento internazionale di Mosca".

Ora: fosse per Joe Biden, alzerebbe già la posta al massimo: lui quello che può fare, lo farà. Nuove armi, altre più dure sanzioni. Fosse per lui l’intera Europa avrebbe già messo l’embargo sul gas russo. "Faremo pagare pesanti costi economici a Mosca – avverte annunciando un nuovo giro di vite – il 70% dell’inflazione in questo periodo dipende dalla guerra che Putin ha scatenato. Lui ha fatto salire i prezzi ovunque".

Ma c’è di mezzo il tedesco Olaf Scholz, apertamente, e anche Draghi, sia pure con la dovuta discrezione. I toni del cancelliere sono stati ieri più alti del solito, ma non al punto di rischiare la scelta che, come hanno avvertito due giorni fa industriali e sindacati uniti, sarebbe un colpo fatale per l’economia tedesca. Però sull’asse Bruxelles-Washington si è trovato l’accordo per nuove misure punitive.

La proposta che la Commissione europea presenterà la prossima settimana per il sesto pacchetto di sanzioni Ue dovrebbe contenere non solo l’esclusione dal sistema Swift della Sberbank, ma anche il blocco totale dell’importazione di petrolio russo, impedendo la chiusura di nuovi contratti. "Stiamo attualmente sviluppando meccanismi intelligenti in modo che il greggio possa essere incluso anche nella prossima fase delle sanzioni", conferma la presidente della commissione, Ursula von der Leyen dopo aver ringraziato il presidente Usa "per aver organizzato questa chiamata".

Vero è che l’Europa nel suo complesso importa, secondo i dati di novembre, il 34% del petrolio di Mosca: si tratta di una voce che tanto per noi quanto per Putin è importante in termini economici. Eppure, è una mancanza che si può gestire perché ci sono fonti alternative: possiamo comprarne di più dagli Emirati arabi, dall’Arabia saudita, dal Nord Europa, dalla Norvegia, dagli Stati Uniti. Ovviamente, con l’impegno da parte degli americani di calmierare il prezzo. Non a caso queste sanzioni entreranno in vigore dopo le presidenziali francesi per non rischiare rincari di carburante ed eventuali proteste anti-Macron.

C’è un problema: nessuno si illude che l’embargo sul petrolio sia sufficiente a fermare lo zar. E siccome il gas per ora è tabù, che altro si può fare? "Aiuteremo inviando all’Ucraina artiglieria di lungo raggio insieme ai nostri alleati", dice il cancelliere Scholz. Dopo una telefonata con il presidente ucraino Zelensky, anche il premier olandese Mark Rutte annuncia che manderà di "equipaggiamenti pesanti, inclusi mezzi blindati". E così fa la Finlandia, abbandonando la politica di non fornire armi ai paesi in guerra. C’è un confine però che nessun leader vuole superare perché troppo pericoloso, ai limiti della terza guerra mondiale: il conflitto non deve coinvolgere direttamente la Nato.

"La Nato non entrerà in guerra", assicura Scholz. La speranza è che le sanzioni portino a un default della Russia nel breve periodo, specie se si riuscirà a mettere fine alla dipendenza energetica della Ue da Mosca, altro impegno condiviso nella videoconferenza dei leader occidentali. Bersaglio difficile da raggiungere in poco tempo.