Giovedì 25 Aprile 2024

"Lo Stato deve tutelare i lavoratori Ma troppi tabù sulle multinazionali"

L’economista Marco Fortis: "Mettere così tanti paletti può finire per allontanare investimenti importanti"

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di Raffaele Marmo

"È comprensibile che certe azioni, come quelle di imprese che hanno licenziato in maniera improvvida e improvvisa con una mail, possano apparire egoiste o odiose e che, pertanto, possano suscitare doverose reazioni allarmate e meritare risposte adeguate a tutela dei lavoratori. Ma dobbiamo fare attenzione a rispondere in generale sotto la spinta dell’emozione per casi specifici. Il messaggio di provvedimenti punitivi può rivelarsi un boomerang". Marco Fortis, professore di Economia industriale e Commercio estero alla Cattolica di Milano, mette in chiaro quale sia la posta in gioco: parliamo di oltre 15.500 imprese straniere presenti in Italia, circa 600 miliardi di fatturato 2018 e più di un milione e mezzo di occupati.

Professore, vuol dire che si tratta di materia da maneggiare con cura?

"I numeri parlano da soli e, nello stesso tempo, non tutte le multinazionali si comportano come i soggetti di cui si parla in questi giorni che, dentro crisi strutturali di settori maturi, hanno fatto questi blitz, chiudendo stabilimenti per andarsene altrove. Siamo in presenza, invece, di un corpus di imprese estere in Italia che partecipano per il 18,6% al fatturato nazionale secondo gli ultimi dati Istat disponibili del 2018".

Ma perché è diffusa l’idea di vedere le multinazionali come "pericoli" o come predatori di marchi italiani di valore?

"Ma anche queste sono cose che vanno superate perché si rivelano cliché. Guardiamo, invece, ai fatti concreti, a che cosa hanno fatto i grandi gruppi del lusso francese in Italia, come Lvmh, e ci accorgiamo che hanno fatto solo del bene nel senso che hanno mantenuto la produzione in Italia, hanno apportato capitali, hanno rilanciato marchi di grandissimo successo che erano andati alla deriva per crisi familiari. E analogo discorso vale per la farmaceutica. Pensiamo a cosa non ha fatto un gruppo come Eli Lilly che ha trasformato l’Italia nel leader mondiale dell’insulina con lo stabilimento di Sesto Fiorentino. O a che cosa ha fatto Sanofi Aventis che ha creato nel Lazio un polo farmaceutico di dimensioni mondiali".

Dall’altra parte, però, ci sono anche le multinazionali che licenziano con una mail e senza neanche salutare.

"Certo. E, infatti, dobbiamo difendere e aiutare i lavoratori a non subire, come fossero investiti da un tornado, le decisioni di gruppi industriali che sono allo stremo e che non sanno da che parte girarsi per uscire dalle loro problematiche di vecchi investimenti. E in questo caso dobbiamo essere attivi nel prevedere le possibili crisi e anche nel dare ai lavoratori la possibilità di supporto e negoziazione quando il caso esplode. Nel senso che dovremmo essere capaci di valutare prospetticamente e preventivamente questi rischi. Ma questo non deve generare un allarme che mette in fuga le multinazionali che ci sono e quelle che vogliono venire. Tanto più che non è che siamo messi bene nell’accoglienza".

Nel senso?

"Nel senso che già ora una multinazionale che viene rischia grosso perché non sa mai quale sarà il regime fiscale da qui a un anno, quanto tempo ci vorrà per avere un’autorizzazione a costruire uno stabilimento".

Insomma, una stretta sul modello di quella ipotizzata nella bozza Orlando-Todde sarebbe esiziale?

"Se aggiungiamo sovrastrutture rigide rischiamo che, per intervenire a salvaguardia di pochi limitati casi di crisi, creiamo una danno enorme a potenziali investimenti stranieri. E vale la pena di pensare che molto spesso per costruire dieci medie imprese italiane ci vogliono anni, mentre possono bastare tre mesi per un investimento straniero da mille addetti. Ma se li spaventiamo ci vorranno tre secoli e, anzi, non verranno mai".

Ma, in definitiva, lo Stato deve avere una politica industriale o deve essere solo il mercato a regolare tutto?

"Dobbiamo farci innanzitutto una domanda: che cosa possono essere le politiche industriali nel mondo della globalizzazione? Ebbene, non possono più essere le politiche degli anni Sessanta in cui lo Stato decideva se fare la chimica in un posto o nell’altro o se spostare la siderurgia qui o là. Lo Stato oggi deve mettere in sicurezza le aziende strategiche con golden share, ma, fatto questo, deve permettere alle imprese di lavorare bene: pensiamo a Industria 4.0 che è stata la più grande politica industriale degli ultimi trenta anni e ha permesso di aumentare la produttività e la competitività in maniera significativa".

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