Mercoledì 24 Aprile 2024

Lira turca, cosa sta succedendo sui mercati. I rischi per l'Italia e le sue aziende

La lira turca crolla e i mercati europei temono il contagio. Gli effetti della crisi economica e geopolitica sulle banche e sulle aziende italiane che investono nel Paese

Crollo lira turca, il presidente Erdogan (Ansa)

Crollo lira turca, il presidente Erdogan (Ansa)

Roma, 11 agosto 2018 - La lira turca crolla e i mercati finanziari mondiali, soprattutto in Europa, tremano. Dopo aver superato lo scoglio della crisi greca, l'Eurozona guarda ora con preoccupazione a un nuovo rischio contagio. Ma com'è stato possibile che una valuta "periferica" come la lira turca abbia potuto mettere in ginocchio borse e titoli in Occidente? Innanzitutto il crollo del valore della moneta di Ankara non è arrivato all'improvviso, anzi. Già da inizio anno ha perso tra il 30 e il 40% del suo valore rispetto al dollaro. L'ulteriore peggioramento di questa settimana è arrivato invece dopo l'ennesimo attacco del presidente Usa Donald Trump: la minaccia di raddoppiare i dazi su acciaio e alluminio ha affossato ancora di più la già fragile situazione.

TENSIONI GEOPOLITICHE. L'agitazione dei mercati europei è dovuta in buona parte ai dubbi sulla leadership accentratrice del presidente Erdogan. L'uomo forte di Ankara ha impresso un forte controllo personale sull'economia turca, assicurandosi il diritto di nominare personalmente il governatore della banca centrale e avendo piazzato il genero Berat Albayrak al ministero dell'Economia. L'accentramento di potere, anche in campo economico, è fonte di preoccupazione per gli investitori. E inoltre non aiuta l'iper-inflazione a due cifre, contro la quale il presidente non vuole intervenire con l'aumento dei tassi. La svolta nazionalista di Erdogan, stretto nella morsa degli Stati Uniti e della Russia, ha isolato il Paese, la cui economia dipende tuttavia fortemente dall'afflusso di capitali esteri e dalle esportazioni. Di qui, peraltro, l'aumento delle tariffe Usa sui metalli, una sorta di rappresaglia contro l'arresto del predicatore evangelico Andrew Brunson, presunta spia secondo Ankara. 

SETTORE FINANZIARIO. Tutti i mercati hanno dunque risentito del venerdì nero della Borsa di Istanbul, per primi quelli degli altri Paesi emergenti (Argentina e Sudafrica), ma poi la tempesta ha travolto l'Europa: l'euro ha toccato il minimo sul dollaro da un anno e le borse hanno perso almeno un punto percentuale. Ma perché? La chiave è nel settore del credito. Ci sono infatti importanti banche, come la spagnola Bbva, l’italiana UniCredit e la francese Bnp Paribas, che hanno prestato molto denaro alla Turchia e rischiano di subire forti perdite se i loro debitori non saranno più in grado di restituire il denaro ricevuto in prestito. Il 40% del patrimonio del settore bancario turco è costituito da titoli di debito denominati in valuta estera, i cui interessi devono quindi essere ripagati in monete rispetto alle quali la lira turca vale sempre meno. Le banche italiane, nel loro insieme, sono esposte per 16,9 miliardi di dollari con la Turchia (più o meno come quelle tedesche e britanniche), ma molto meno di quelle spagnole e francesi. UniCredit possiede il 40,9 per cento di Yapi Kredi, quarta banca privata del Paese.

ECONOMIA REALE. Ma la crisi finanziaria turca rischia di coinvolgere per riflesso anche le aziende straniere che operano nell'economia "reale". E tra queste pure le big italiane. In particolare sono quattro i grandi gruppi imprenditoriali: UniCredit appunto; Fca ha investito nello stabilimento di Bursa-Tofas vicino a Istanbul (ma il mercato è in calo); Pirelli ha speso 170 milioni di euro per l'impianto di Izmit dove vengono prodotti ogni anno 2 milioni di pneumatici industriali per l'Europa, il Medio Oriente e l'Africa; Leonardo produce con Aermacchi l'ala dei caccia F-35. Molto sono poi i progetti italiani infrastrutturali nel Paese: come quelli di Salini Impregilo (due autostrade, un impianto idroelettrico, l'alta velocità) e Astaldi, che ha da poco realizzato il terzo ponte sul Bosforo. E ancora Azimut, Cementir, Recordati, Reno de Medici. Tra le grandi società non quotate Barilla, che ha rilevato negli anni '90 la pasta Filiz, e Ferrero che ha sette stabilimenti in lavorazione. L'Italia è il quinto partner commerciale della Turchia, con un interscambio di circa 20 miliardi di dollari e un aumento degli investimenti del 42,5% nel 2017.

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