L’inflazione corre, l’economia frena. Tassi bassi per evitare la recessione

Crescita a rischio con rialzi troppo rapidi. Diversamente dalla Fed la Bce mantiene una linea prudente

Pmi tra inflazione e caro energia

Pmi tra inflazione e caro energia

Il discorso di Firenze del 30 settembre scorso del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha straordinaria importanza per il rilievo europeo e internazionale delle sue riflessioni sui modi ed i tempi con i quali combattere l’inflazione e per evitare la recessione. Il Governatore ha invitato a non seguire "ciecamente" la banca centrale Usa nei prossimi mesi, rilevando che "l’area dell’euro è stata investita da uno shock energetico di straordinaria portata, di gran lunga maggiore degli shock petroliferi degli anni Settanta del secolo scorso". Il Governatore Visco ha sottolineato che "l’aumento dell’inflazione è accompagnato da un brusco deterioramento delle prospettive di crescita economica che riflette la perdita di potere d’acquisto".

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In questo contesto, "rialzi dei tassi eccessivamente rapidi e pronunciati finirebbero per aumentare i rischi di una recessione". Queste nitide, lungimiranti e coraggiose affermazioni del Governatore si basano su molto approfondite analisi della Banca d’Italia, ma possono essere sostenute anche dalla consapevolezza di non voler ripetere non positive esperienze già vissute in passato. L’inflazione nell’area dell’euro, a settembre, risulta del 10% su base annua, vicina ai massimi storici post bellici della Germania (11,5% nel 1951) e della Francia (15,2% nel 1974), ma lontana dal picco dell’Italia (25,7% nel 1975) che fu combattuto, ma non stroncato dalla crescita del Tasso di sconto fino al 15% nel 1976 e addirittura al 19% nel 1981. Infatti le sole misure di politica monetaria, pur indispensabili, non sono sufficienti per abbattere l’inflazione, mentre rischiano di favorire la recessione.

Ha, quindi, ragione il Governatore Visco nel sostenere che "garantire il contenimento di questo shock richiederà non solo una risposta incisiva e adeguata da parte della politica monetaria, ma anche la responsabilità delle parti sociali e il contributo della politica di bilancio" per non "far deragliare il debito pubblico dal percorso di rientro", in rapporto al prodotto interno lordo, "iniziato lo scorso anno – un percorso necessario per preservare la possibilità di ritorno a una crescita economica forte e duratura". Nonostante le due decisioni di settembre della Bce, che hanno fatto uscire l’euro dalla lunga epoca dei tassi a zero, ora il tasso Bce (1,25%) è molto più basso di quello Usa (3,25%) e di quelli dei Paesi europei non appartenenti all’eurozona, come il 2,25% del Regno Unito e della Norvegia, il 6,75% della Polonia, il 7% della Repubblica Ceca, il 13% dell’Ungheria, quando la Russia ha il 7,5%, mentre più bassi di quelli della Bce sono in Europa solo i tassi di Svizzera (0,5%) e Danimarca (0,8%). Nel resto del mondo l’Australia ha il 2,35%, la Corea del Sud il 2,5%, la Cina il 3,65%, l’India il 5,9%, l’Arabia Saudita il 3,75%, il Sudafrica il 6,25%, mentre in Sud America i tassi sono generalmente ancor più alti, col Brasile al 13,75% e l’Argentina che ha recentemente raggiunto addirittura il 75%. Solo il Giappone, fra le grandi economie mondiali, mantiene un tasso lievemente negativo (-0,1%). Quindi i tuttora bassi tassi della Bce e gli autorevoli e prudenti indirizzi prospettici del Governatore della Banca d’Italia sono finalizzati a combattere l’inflazione, al tempo stesso sostenendo l’economia e cercando di evitare una nuova recessione.

*Presidente Associazione Bancaria Italiana