
Donald Trump con la lista dei dazi
Roma, 18 giugno 2025 – Inutile farsi illusioni: la proroga della scadenza del 9 luglio significa due cose. Da una parte, che c’è la volontà di andare avanti e non rompere la trattativa. Dall’altra, che il negoziato è complesso. E Carlo Altomonte, professore di Economia dell’Integrazione Europea all’Università Bocconi di Milano, è convinto che gli Stati Uniti non si accontenteranno di vendere un po’ più di gas e di armi all’Ue per chiudere l’intesa.
“Siamo pronti a negoziare con ampio margine sulle tariffe commerciali, facendo anche concessioni importanti – spiega –. Ma siamo molto meno disponibili ad affrontare gli altri temi sul tavolo, come il trattamento dei dati, le questioni legate alla privacy, il trattamento fiscale delle piattaforme digitali.
Se l’Europa accogliesse le richieste americane, verrebbe meno al rispetto di alcuni principi fondamentali del suo mercato interno”.
E, allora, come finirà?
“La Commissione può decidere su dazi e commercio, ma sulle barriere non tariffarie deve consultare gli altri Stati membri e ci vuole una maggioranza qualificata”.
Che cosa ne pensa dei dazi al 10%?
“Scendere al di sotto di questa soglia è praticamente impossibile, è lo stesso livello ottenuto dagli inglesi”.
Gli Usa chiedono all’Europa anche di acquistare più gas e, probabilmente, più prodotti militari per la difesa.
“Sono capitoli che andranno nel pacchetto complessivo dell’accordo. Ma si tratta, per così dire, di ‘dolcificanti’. Non credo che gli Usa si accontenteranno”.
Però, con la Cina, le trattative hanno subito trovato la strada giusta per arrivare a un accordo. Come mai?
“Era molto chiaro lo scambio, il do ut des: materie prime e beni che entrano nella catena del valore americana in cambio di tecnologia e visti per i cinesi. La verità è che, rispetto a Pechino, Trump non aveva molti assi nella manica. Mentre, dal punto di vista negoziale, può alzare la voce nei confronti degli europei, che non hanno molte armi per contrastare gli Stati Uniti su questo terreno”.
Però l’accordo con Pechino almeno ci mette al riparo da un’invasione di merci cinesi.
“Sicuramente ci sarà un impatto da questo punto di vista. Ma non dobbiamo dimenticare che gli Usa mantengono una tariffa importante per l’import cinese, almeno dieci volte superiore a quella europea. A noi, tutto sommato, converrebbe negoziare su due tavoli distinti. Non a caso, ai primi di luglio, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, andrà a Pechino proprio per capire. E nel negoziato che seguirà, sicuramente si tenterà di evitare che nei prossimi mesi ci possa essere una nuova invasione di merci da Pechino”.
Nel frattempo, però, i dazi cominciano a creare problemi all’economia americana. Nel primo trimestre il Pil è stato addirittura rivisto al ribasso di mezzo punto.
“Non poteva essere altrimenti. I dazi creano incertezza, rallentano gli investimenti, alimentano l’inflazione. E gli effetti di questa situazione non sono immediati: servono almeno 7-8 mesi per capirne l’esatta portata. Quindi dobbiamo attenderci il peggio in autunno, fra ottobre e dicembre”.
Intanto le Borse sono tutte positive.
“I mercati, si sa, reagiscono immediatamente a tutte le notizie positive e tendono a dimenticare i problemi. Ma non bisogna abbassare la guardia”.
Che cosa deve fare l’Europa?
“Dobbiamo iniziare ad attrezzarci per affrontare un mondo in cui la crescita sarà sempre meno dipendente dalle nostre esportazioni, e sempre più dipendente dal nostro mercato interno. Quindi, prima realizziamo l’agenda Draghi, e meglio stiamo”.