Stipendi troppo bassi "Inadeguati alle mansioni"

GLI STIPENDI dei lavoratori italiani sono troppo bassi. E l’inflazione galoppante continua a eroderli, rendendoli "non adeguati alla disponibilità o alle mansioni richieste dalle aziende". Questo è il principale motivo per il quale le imprese non trovano personale. Lo dimostra un’indagine Ipsos realizzata per conto di Kelly Services, secondo cui salario e tempo sono le variabili che gli italiani considerano più importanti per la scelta di un lavoro. Nel dettaglio, il 61% degli intervistati ritiene che gli stipendi non siano congrui rispetto alle disponibilità o alle mansioni richieste. Analizzando i settori, sono di questa opinione il 43% dei lavoratori del commercio e il 45% di chi opera nel settore manifattura e costruzioni. Per quanto riguarda i salari inadeguati, il 39% degli intervistati ritiene che il costo del lavoro sia troppo alto e le tasse che le aziende pagano per ogni lavoratore siano eccessive. Per il 23% la responsabilità è dei manager, che non danno il giusto valore al lavoro. Riguardo alle possibili soluzioni per riavvicinare domanda e offerta di lavoro, per il 36% degli intervistati servono sgravi fiscali per le aziende che assumono disoccupati, per il 34% una riduzione generale del costo del lavoro per le imprese, da convertire in adeguamenti salariali per i lavoratori, mentre il 33% suggerisce l’introduzione del salario minimo. Ma anche l’eliminazione dei meccanismi del reddito di cittadinanza, indicata dal 27% delle persone.

Il tempo è il secondo terreno di scontro, ma anche di potenziale incontro, fra aziende e lavoratori. Rispetto al passato, la percezione delle persone è che le aziende richiedano maggiore efficienza, produttività, velocità nello svolgimento delle mansioni, realizzando lo stesso lavoro in minor tempo (lo pensa il 37% degli occupati e il 46% dei disoccupati), e che sia richiesta ampia flessibilità d’orario, rendendosi disponibili quando serve all’azienda e reperibili anche fuori dai normali orari di lavoro (35% degli occupati e 45% dei disoccupati). C’è però un’area di incontro fra lavoratori e imprese sul tema della gestione del tempo e della flessibilità, e passa dal riconoscimento economico: il 34% degli intervistati si dichiara infatti disponibile a rispondere alle richieste delle imprese a fronte di un incremento della remunerazione. In particolare sarebbero disposti a trasferte lavorative anche non concordate (39%), a lavorare il sabato e la domenica (37%), a essere reperibili fuori dall’orario di lavoro (36%).

Quanto alle prospettive lavorative a fronte della crescita dell’inflazione, alla crisi energetica e al generale impoverimento del potere d’acquisto dei salari, il 54% degli italiani ritiene che gli individui e le famiglie dovranno accettare dei compromessi pur di poter lavorare ed avere un reddito. Tale opinione è consolidata soprattutto nel settore manifatturiero (58%) e nei servizi (54%), meno nel commercio (49%). Solo il 29% degli intervistati ritiene che i lavoratori saranno disposti a fare rinunce sui propri consumi pur di ottenere lavori in linea con le proprie aspettative, non solo economiche.

Dall’altro lato, il 45% prevede che ci sarà una forte richiesta di adeguamento degli stipendi all’inflazione e le aziende dovranno farvi fronte per non perdere personale. Il 37% degli intervistati afferma poi che ci sarà una maggiore tendenza alla migrazione dei lavoratori tra regioni italiane o verso Paesi esteri per avere stipendi più alti, oppure (30%) per stabilirsi in territori dove il costo della vita è più basso.

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