"SPIAGGE, NIENTE INVASIONE DEGLI OPERATORI STRANIERI"

"SPIAGGE, NIENTE INVASIONE DEGLI OPERATORI STRANIERI"

"SPIAGGE, NIENTE INVASIONE DEGLI OPERATORI STRANIERI"

INTERE SPIAGGE, chilometri di coste e milioni di metri quadri di aree pubbliche date in concessione all’asta, magari a qualche multinazionale piena di soldi, pronta a scalzare gli imprenditori balneari locali. È lo spettro che da anni aleggia in Italia quando si parla delle normative europee sui beni demaniali, a cominciare da quelli marittimi. Questo "scenario apocalittico", però, quasi sicuramente non si verificherà, soprattutto se nel nostro Paese i principi stabiliti dell’Ue verranno applicati con una normativa ben fatta. Ne è convinto Francesco Munari (nella foto in basso), professore ordinario di diritto dell’Unione europea all’Università di Genova e partner di Deloitte Legal che conosce bene l’argomento. Leggendo i giornali e ascoltando le dichiarazioni di qualche esponente politico, infatti, molti pensano che le direttive europee imporranno presto di azzerare tutte le concessioni demaniali esistenti (in primis quelle sulle spiagge), mettendole poi all’asta al miglior offerente. E così, l’opinione pubblica si è sostanzialmente divisa tra chi paventa la colonizzazione delle nostre spiagge da parte di ricchi operatori stranieri e chi, sul fronte opposto, dipinge i balneari come usurpatori che fanno una montagna di soldi pagando canoni demaniali irrisori di poche migliaia di euro. E invece, la situazione è un po’ più complessa e piena di sfumature, sulle quali sarebbe necessaria un’attenta riflessione.

"Ciò che in realtà ci chiede l’Ue – dice Munari – è di eliminare il diritto di insistenza su un bene demaniale, e di garantire una certa pubblicità agli atti con cui lo stesso bene pubblico viene dato in concessione". Tradotto in parole più semplici, ciò significa che i beni in concessione devono essere aggiudicati secondo procedure pubbliche e trasparenti, ma non necessariamente in una forma che avvantaggerà chi ha più soldi e segue logiche speculative. Mettere a gara può voler dire, per esempio, che un imprenditore intenzionato a utilizzare in concessione un bene del demanio (o che lo sta già utilizzando) ha la possibilità di presentare un’apposita domanda alle autorità competenti (per esempio al Comune), che poi rendono pubblico l’atto. In questo modo, vengono sollecitate eventuali offerte concorrenti, se altri imprenditori sono interessati allo stesso tipo di bene. Tale procedura non comporta per forza un’escalation di offerte al rialzo, in cui gli esercenti e gli imprenditori fanno a gara a chi offre di più.

Innanzitutto, come spiega Munari, non va dimenticato che i canoni demaniali vengono incassati dallo Stato centrale e non dai Comuni. Quest’ultimi, dunque, non hanno alcun interesse a incamerare più soldi possibile dai canoni (peraltro determinati con norme statali) ma, quando daranno in concessione determinati beni pubblici come le spiagge o le coste, terranno in considerazione anche altri fattori legati a un interesse collettivo, come per esempio la tutela dell’ambiente, la salvaguardia dell’occupazione, o altre finalità sociali. Il tutto sulla base di criteri predeterminati che, se non inseriti da norme di legge, sono già largamente prevedibili sulla scorta di precedenti e indicazioni provenienti da altre fonti. Inoltre, i Comuni non avranno interesse a danneggiare le aziende locali che già operano da tempo sul territorio.

"La dottrina economica – aggiunge ancora Munari – ci insegna che quasi sempre gli incumbent (cioè gli operatori già presenti sul mercato, ndr) sono in una posizione di vantaggio rispetto ai potenziali nuovi entranti". In un rapporto trasparente tra amministratori e amministrati, chi presenta un’istanza per sfruttare in concessione di un bene pubblico dovrà tuttavia impegnarsi a dire con chiarezza cosa intende farne, come vuole valorizzarlo e quali investimenti attuerà, in modo tale che gli enti locali possano tutelare al meglio l’interesse della collettività, decidendo se è il caso o meno di preferire offerte concorrenti. Fatta questa premessa, una cosa sembra ormai certa: il diritto dell’Unione Europea non consente più di trattare l’utilizzo in concessione di un bene pubblico (quale appunto una spiaggia) come fosse un diritto dinastico che si può trasmettere di padre in figlio. Ora, l’Italia ha tempo fino alla fine del 2023 per dare attuazione a questi principi, adottando appunto una normativa ad hoc e sfruttando una mini-proroga rispetto ai tempi già fissati in precedenza.

"Sono sostanzialmente sul fatto che si arriverà a una buona soluzione", conclude Munari, il quale non vede all’orizzonte un’invasione di operatori stranieri a tutto svantaggio dei player balneari locali: "Non sottovalutiamo i nostri imprenditori turistici che, se hanno lavorato bene negli anni passati, non avranno molto da temere". Certo, con le nuove normative potrà forse accadere con maggior frequenza che, di fronte a un concessionario che valorizza poco una spiaggia o un bene demaniale, un’amministrazione comunale deciderà di privilegiare qualcuno che ha un progetto migliore. Come spesso si dice: è la concorrenza, bellezza.

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