
CON UNA CADENZA regolare, come quella delle stagioni, in Italia sul lavoro prendono forma narrazioni lunari e i talk show...
CON UNA CADENZA regolare, come quella delle stagioni, in Italia sul lavoro prendono forma narrazioni lunari e i talk show televisivi spesso finiscono per riproporre un canovaccio e numerosi contenuti in tutto sovrapponibili a quelli di dieci, venti anni fa. Come se in mezzo nulla sostanzialmente fosse cambiato. Per chi quotidianamente opera a stretto contatto con decine di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori, come le Agenzie per il Lavoro, ci sono alcuni punti chiari e nuovi, peraltro confermati dalle rilevazioni di tutti gli istituti di ricerca. Sul lavoro c’è stata una silenziosa rivoluzione copernicana, ieri mancavano i posti, oggi mancano i candidati, o quanto meno i candidati con le competenze necessarie. Ieri vi era una tendenza a crescere dei lavoratori a termine, ora è evidente la crescita di quelli a tempo indeterminato. Il settore delle Agenzie per il Lavoro è il primo a intercettare le nuove tendenze, per ovvie ragioni.
E annovera dati che spesso poco si confanno a narrazioni che per quanto lunari restano per lo più prevalenti. I quindicimila dipendenti diretti delle Agenzie hanno tutti contratti stabili e sono per lo più donne. Delle cinquecentomila persone in somministrazione impiegate un terzo ha un contratto a tempo indeterminato. Un giovane che entra nel mondo del lavoro attraverso una Agenzia quando il contratto scade accede più rapidamente a una nuova occasione e in generale accede prima a un lavoro a tempo indeterminato. Se si analizzano i percorsi delle persone assunte a tempo indeterminato si noterà che i lavoratori impiegati tramite Agenzia ancora occupati dopo diciotto mesi sono di più di quelli che avevano il contratto diretto con una azienda (70,3% contro 56,9%). Come certificano i recenti dati del rapporto Istat è pur vero che ci sono anche questioni che restano uguali a decenni fa e altre alle quali prestare grande attenzione, ma che titolano poco. Cresce, per esempio, di più il lavoro meno qualificato e, complici gli stipendi bassi, non stenta a rallentare l’emigrazione, mentre l’Italia si conferma poco attrattiva per i lavoratori qualificati stranieri e distante dagli altri Paesi per la domanda di professioni innovative. Rispetto ad altri Paesi Europei, infatti, da noi risultano meno richiesti sviluppatori e analisti software e più richiesti, invece, installatori e riparatori. È evidente che c’è una questione di qualificazione del lavoro e bene è che la formazione stia tornando al centro dell’agenda politica e istituzionale.
Su questo fronte occorrerebbe alacremente lavorare senza distinzioni di sorta, con un piano Marshall per la formazione al lavoro contemporaneo e prospettico. Altrimenti gli obiettivi fissati dalla Commissione Europea per il 2030 per un raddoppio degli occupati nelle Ict, che implica per l’Italia uno slancio dal 4% attuale di occupati nel settore al 7,3%, rischia di rimanere, anche quello, un obiettivo lunare. Ci sarebbe poi, contestualmente, l’esigenza di intervenire sui circa tre milioni di occupati in nero, sul lavoro precario, ovvero legato a cooperative spurie, create per pagare meno e stare con le mani più libere con i lavoratori; sul ricorso eccessivo e disinvolto al subappalto, più o meno genuino; sull’uso strumentale e truffaldino delle reti di impresa, anche qui, per ridurre costi e tutele per il personale. Ma sono temi complessi, titolano poco, rischiano di restare, ahimè, nelle retrovie.
* Presidente Assolavoro