Lavorare in orari antisociali Lo fa un dipendente su due

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UN POPOLO di santi, poeti, navigatori e stakanovisti. Quasi la metà dei lavoratori dipendenti italiani, infatti, è impegnato in orari antisociali, ovvero di notte, sabato, domenica e festivi. Inoltre il 60% fa gli straordinari e un quarto di questi (15,9%) è costretto ad andare oltre l’orario stabilito dal contratto senza che lo sforzo sia retribuito. Le motivazioni sono di vario tipo: nella maggior parte dei casi (51,2%) per carichi di lavoro eccessivi o carenza di personale, nel 18,4% per guadagnare di più. C’è poi un 8,1% che dichiara di non potersi rifiutare. Un quadro a tinte fosche quello dipinto dall’indagine Inapp Plus, secondo cui il 18,6% dei dipendenti lavora sia di notte che nei festivi (circa 3,2 milioni di persone), il 9,1% anche il sabato e i festivi (ma non la notte), mentre il 19,3% anche la notte (ma non di sabato o festivi). Gli uomini – sottolinea la ricerca – sperimentano di più sia il solo lavoro notturno, sia quello svolto sia di notte che nei festivi; le donne, invece, sono impegnate più il sabato o nei festivi. Tra chi è impegnato in orari antisociali ci sono i lavoratori della sanità e delle forze dell’ordine, ma anche quelli della ristorazione, del commercio (con i negozi aperti 7 giorni su 7), dei servizi (come quelli dei call center), dell’industria con il lavoro a turni e dell’agricoltura.

Ma c’è anche chi sta peggio. Sono quei lavoratori che sperimentano allo stesso tempo sia un orario ridotto, non per scelta, sia la presenza di orari antisociali. Si tratta di circa 900mila dipendenti che, oltre ad avere un part time involontario, svolgono la propria attività la notte o nei festivi (quasi il 52% di chi ha un part time involontario e oltre il 27% sul totale degli occupati part time). A questi lavoratori subordinati vanno aggiunti molti autonomi, i cui i tempi di lavoro sono molto impegnativi perché legati all’esigenza della clientela. Un modo di lavorare particolarmente oneroso soprattutto per coloro che devono far fronte a carichi di cura, perché si concentra in momenti in cui non sono disponibili i servizi e, in generale, costituisce uno sfasamento rispetto agli orari diffusi tra la maggioranza della popolazione.

"Spesso la domanda di lavoro richiede disponibilità che confliggono con le esigenze di vita – commenta il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda (nella foto) – È vero che per alcuni settori economici e per alcune professioni il lavoro notturno o nei festivi è connaturato alla natura della prestazione, ma è anche vero che questa modalità sembra diffondersi anche dove non è strettamente necessaria. È urgente avviare una seria riflessione sull’organizzazione del tempo di lavoro, ma anche sulla sua quantità e distribuzione".

Tornando all’indagine, con la rivoluzione tecnologica si riduce lo spazio del lavoro ore 9-17 del classico impiegato, con la connessione che resta attiva anche nelle sere e nei fine settimana, mentre il 21,3% degli occupati (circa 4,7 milioni) dichiara di non potere o non volere prendere permessi per motivi personali. Gli uomini hanno una maggiore autonomia, mentre per le donne si evidenzia la pressione di un contesto che disincentiva l’uso dei permessi.

C’è poi l’altro lato della medaglia, quello della consistente quota di occupati che vorrebbero lavorare un maggior numero di ore rispetto a quelle effettivamente svolte. Questa sottoccupazione è più presente tra le donne – anche per la maggiore concentrazione della componente femminile nel part time – tra i lavoratori con bassi titoli di studio, tra i residenti nel Nord-Ovest e del Sud e Isole e per chi svolge la propria attività in aziende di piccole dimensioni.

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