Sabato 21 Giugno 2025
REDAZIONE ECONOMIA

Il dilemma dei recruiter. L’esperienza batte la laurea

ADDIO al primato del pezzo di carta. L’esperienza batte il titolo di studio nelle scelte dei recruiter. Tra un candidato...

ADDIO al primato del pezzo di carta. L’esperienza batte il titolo di studio nelle scelte dei recruiter. Tra un candidato...

ADDIO al primato del pezzo di carta. L’esperienza batte il titolo di studio nelle scelte dei recruiter. Tra un candidato...

ADDIO al primato del pezzo di carta. L’esperienza batte il titolo di studio nelle scelte dei recruiter. Tra un candidato laureato nel settore, ma privo di esperienza specifica nel proprio campo di studi, e uno senza laurea, ma con esperienza pratica sul campo, il 64% degli Hr manager italiani assumerebbe il secondo. Lo certifica un’indagine realizzata da Indeed – portale numero uno al mondo per chi cerca e offre lavoro – in collaborazione con YouGov, che ha coinvolto 5.666 aziende in 11 Paesi, tra cui l’Italia.

Per anni i titoli di studio sono stati considerati come indicatori della capacità di svolgere il lavoro richiesto. Oggi, invece, le aziende privilegiano sempre più una valutazione dei candidati in base alle loro esperienze, abilità e capacità specifiche per il ruolo ricercato. In un contesto in cui il 63% dei datori di lavoro lamenta un aumento delle difficoltà di assunzione negli ultimi 3 anni, si assiste anche in Italia a una progressiva affermazione dell’approccio alle assunzioni ‘skills-first’, ovvero basato sulle competenze, con cui dichiara di avere familiarità più di un’azienda italiana su due.

Non stupisce che, nella stesura delle descrizioni per le posizioni aperte, il 65% degli interpellati si focalizzi sulle competenze specifiche necessarie per ricoprire il ruolo. O ancora che, per capire se si trovano davanti a un candidato idoneo, sempre più recruiter considerino centrale poter contare su un portfolio o su esempi del lavoro svolto a conferma delle abilità (49%); che il candidato abbia le competenze tecniche adeguate a svolgere la mansione (38%) o che abbia esperienza sul campo (38%).

La mancanza di profili di qualità rappresenta un problema per l’86% delle aziende italiane partecipanti all’indagine. Nel 24% dei casi, si tratta di difficoltà significative, perché la maggioranza dei candidati non è in linea con i requisiti previsti dalle posizioni. In un caso su dieci, addirittura, la carenza è una criticità maggiore per l’azienda che non riesce a trovare un numero sufficiente di professionisti adatti alle proprie esigenze. Le maggiori difficoltà nel recruitment riguardano la mancanza di profili con le competenze richieste (43%), una disconnessione tra i requisiti del ruolo e il background degli aspiranti candidati (28%), oltre alle alte aspettative di questi ultimi, soprattutto rispetto ai compensi (27%).

Per riuscire a colmare il gap, le aziende si stanno impegnando a rivedere le job description (26%), stanno investendo in nuovi tool da cui attingere i potenziali candidati (26%) e stanno rivedendo benefit e salari (24%). Anche la formazione gioca un ruolo chiave. Con l’obiettivo di formare le risorse necessarie all’azienda (41%) e di essere più attraenti per i talenti (45%), il 77% dei datori di lavoro ha già modificato o pianifica di modificare i propri training interni per formare alle competenze richieste i nuovi assunti.

"Per alcuni settori il titolo di studio continuerà a essere un prerequisito, mentre per altri potrebbe non rappresentare più una discriminante – commenta Gianluca Bonacchi (nella foto), talent strategist advisor di Indeed – . Si sta diffondendo sempre più la consapevolezza che le competenze necessarie possono essere acquisite anche attraverso percorsi non formali o extra scolastici. Rivolgendo una maggiore attenzione all’esperienza pratica, le aziende possono attingere a un bacino di talenti più ampio e diversificato, individuando risorse in grado di integrarsi rapidamente e contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali".