Carriera addio, i lavoratori cercano benessere emotivo

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DENARO? Carriera? Auto aziendale? Macché, gli italiani oggi cercano il benessere emotivo. È la conseguenza di una profonda trasformazione del mondo del lavoro, accelerata dalla pandemia, che riguarda soprattutto i più giovani, per i quali l’attività professionale non rappresenta solo una necessità funzionale ma un progetto di vita a 360 gradi. Se le loro esigenze non vengono soddisfatte, i lavoratori sono pronti a lasciare l’azienda. Non si arresta, infatti, il fenomeno delle ‘great resignation’, con il 44% delle organizzazioni che registra un aumento di dimissioni volontarie negli ultimi 12-18 mesi: nel 76% dei casi si tratta di millennials, meno tra la generazione-x (28%) e dalla gen-z (27%), solo nel 2% dei casi tra baby boomers. Fra le cause principali ci sono l’insoddisfazione, la demotivazione e la mancanza di obiettivi. In metà delle aziende, le dimissioni incidono su livelli di performance e sul clima interno. Sono alcuni risultati della ricerca ricerca realizzata da Randstad Professionals in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (ASAG) dell’Università Cattolica.

Secondo l’indagine, i responsabili delle Risorse umane delle aziende sono consapevoli di questi cambiamenti e della loro funzione di mediazione tra gli interessi aziendali e le esigenze dei lavoratori. Eppure considerano più mediatico che reale il fenomeno delle grandi dimissioni, pur riconoscendolo in aumento del 49%. Le motivazioni principali sono l’insoddisfazione per la mancanza di gratificazione (47%), la demotivazione (34%) e la mancanza di obiettivi chiari e condivisi (30%). Non di rado, però, le aziende tendono ad associare il fenomeno alla volontà, in particolare dei giovani, di cogliere nuove opportunità lavorative. In un’organizzazione su due le dimissioni volontarie hanno avuto un impatto significativo sul mantenimento dei livelli di performance, con ripercussioni sul clima interno. L’effetto principale riguarda il carico di lavoro, aumentato per il 32% dei direttori HR e per il 34% dei candidati, il desiderio di emulazione (rispettivamente 18% e 15%), e demotivazione (17% e 19%).

Per contrastare il fenomeno le aziende hanno messo in atto diverse azioni di talent retention (piani per sviluppare le competenze, indagini sul clima interno e momenti informali di monitoraggio), ma le risposte tra responsabili delle Risorse umane e candidati sono discordanti: il 70% degli HR afferma che l’azienda ha cercato di trattenere i talenti, ma solo il 41% dei candidati si riconosce in questa affermazione. Tutti gli HR individuano nella flessibilità del modello organizzativo la soluzione principale alla soddisfazione dei dipendenti e alla possibilità di essere in linea con le attese delle nuove risorse. Tuttavia, un HR su tre ritiene che le opportunità offerte della propria azienda incontrino pienamente le aspettative dei lavoratori e la quota scende considerando i più giovani. E solo il 34% delle aziende riconosce un buon livello di benessere e serenità nella sua organizzazione (era il 53% nel 2021).

Nel dettaglio, gli elementi di benessere garantiti in azienda sono, secondo gli HR, soprattutto la sicurezza sul posto di lavoro (62%) e la sicurezza del posto di lavoro (57%), il senso di appartenenza e il work-life balance (entrambi al 47%). Secondo sia i responsabili Risorse umane che i candidati, le principali fonti di malessere organizzativo sono il sovraccarico di lavoro e la mancanza di obiettivi chiari e condivisi.

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