Mercoledì 24 Aprile 2024

Lavoro, altro bluff: il part-time è forzato

L'incremento delle assunzioni falsato dal crollo delle ore impiegate. Donne penalizzate

Presidio La Perla davanti alla Regione Emilia Romagna

Presidio La Perla davanti alla Regione Emilia Romagna

Roma, 24 luglio 2019 - La lunga e grande crisi del decennio ha lasciato un mercato del lavoro nel quale si è perduto circa un miliardo di ore lavorate e ancora oggi, nonostante la ripresa degli ultimi anni, mancano all’appello oltre 550 milioni di ore rispetto al 2007. Si sono impennati di circa il 50% i rapporti a tempo parziale ed è esploso, in particolare, il fenomeno del ‘part-time involontario’, ovvero del taglio dell’orario (e della retribuzione) obbligato per evitare il licenziamento o la cassa integrazione. Con conseguenze che hanno colpito, anche per cause legate all’inadeguatezza dei servizi di welfare familiare, principalmente le donne: tanto che, secondo i dati dell’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro, oltre il 50% delle assunzioni di lavoratrici in Italia è a orario ridotto. 

Dunque, a dispetto delle letture entusiastiche delle statistiche Istat effettuate dal governo e, in particolare, dal ministro Luigi Di Maio, i numeri reali del lavoro mostrano le difficoltà della locomotiva-Italia. E non si tratta solo del mancato conteggio tra i disoccupati dei cassintegrati a zero ore, ben 139mila lavoratori nei primi sei mesi 2019, con un incremento di oltre il 16% sullo stesso periodo 2018, dopo che per un decennio si era avuto un costante calo.    A incidere in maniera grave sulla quantità e sulla qualità del lavoro è anche il crollo delle ore lavorate (nel loro insieme e pro-capite). Si passa dagli oltre 11 miliardi e 550 milioni di ore del 2007 al punto più basso del 2013, quando si scende a 10 miliardi e 440 milioni, per risalire nel periodo successivo. Salvo che, ancora oggi, siamo sotto di oltre 550 milioni di ore rispetto a 12 anni fa (-4,8%). Non è un caso che i lavoratori part-time siano cresciuti da 2 milioni 469mila nel 2007 a 3 milioni 204mila nel 2013, l’anno del tracollo del mercato, ai 3 milioni 614mila di oggi. In sostanza, dal 2007 al 2019, i dipendenti a orario ridotto sono aumentati di oltre 1,14 milioni di unità: più 46%. La quota, sul totale degli occupati, è salita dal 16,9 al 20,4%.   Meno ore lavorate vuol dire che si è ampliata l’area della sotto-occupazione, con effetti negativi sulle buste paga. «Si tratta – osserva l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano – di un orario prevalentemente imposto a seguito dei processi di riorganizzazione o al fine di evitare i licenziamenti. Una parte dei bassi salari è da ricondurre agli orari di lavoro ridotti. Assistiamo, quindi, al boom del part-time involontario. In 10 anni, il numero di lavoratori che hanno dovuto accettare un impiego a orario ridotto è più che raddoppiato».    A pagare il conto più salato, soprattutto le donne. Anche a causa dell’inadeguatezza dei servizi di assistenza per figli e per la cura a persone non autosufficienti, secondo un’indagine dell’Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro («Donne al lavoro: o inattive o part-time»), oltre il 50% delle assunzioni di lavoratrici donne in Italia è a tempo parziale. E le conseguenze si vedono direttamente dalla prima busta paga. Su 2,8 milioni di donne assunte nel 2017 (rispetto a 3,2 milioni di uomini), il 36% ha ricevuto uno stipendio mensile inferiore a 780 euro. Senza contare i riflessi sul futuro pensionistico: queste condizioni non consentono di alimentare in modo continuo le posizioni previdenziali per accedere alla pensione. 

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