Lavoro, per i trentenni non c'è fine alla crisi

Prima travolti dal crollo dell’economia globale, ora dal post Coronavirus: la generazione condannata a una precarietà senza scadenze

Una manifestazione di precari (Ansa)

Una manifestazione di precari (Ansa)

Roma, 18 maggio 2020 - E’ la generazione della doppia recessione globale. E’ la generazione degli Old Millennials, travolti prima dalla grande crisi del 2008-2013 e colpiti in pieno oggi dalla depressione post-Coronavirus: gli orfani di Lehman Brothers diventati in meno di due mesi gli invisibili del Covid. Hanno tra i 30 e i 35 anni e, forse, hanno fatto appena in tempo a scoprire i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, quelli senza articolo 18. Ma oggi si ritrovano, se va bene, in cassa integrazione, con l’incubo del licenziamento in autunno. O con il contratto a termine (l’ennesimo) scaduto, senza che possa neanche essere rinnovato se non verranno cancellati i vincoli rigidi del Decreto Dignità voluto dai grillini. O, ancora, con lavori svolti a partita Iva, travolti dal lockdown a zero compensi da mesi. 

L’Italia, infatti, non è solo il Paese dei Neet o della elevata disoccupazione giovanile intorno al 30 per cento (inferiore solo a Grecia e Spagna). E’ anche il Paese che, a differenza di tutti gli altri dell’Eurozona, non ha recuperato ancora i livelli di Pil e occupazione pre-2008. E, a pagare più delle altre cassi di età la lunga risalita durata dieci anni, sono stati proprio i nati tra gli anni Ottanta e la metà dei Novanta. Insomma, i costi sociali e economici della crisi e dell’uscita dalla recessione sono finiti addosso principalmente ai Millennials sotto forma di rapporti di lavoro precari, occasionali, intermittenti, formalmente di lavoro autonomo ma di fatto di impiego subordinato (dai cococo alle false partite Iva). 

E così, come hanno spiegato in più occasioni la sociologa Chiara Saraceno e il demografo Alessandro Rosina, le imprese, grazie anche alle riforme del mercato del lavoro, invece di puntare sul capitale umano e la capacità di innovazione delle nuove generazioni sono state incentivate a competere utilizzando le leve della precarietà e del basso costo del lavoro a carico dei nuovi entranti. "Con la crisi e la crescente competizione sui bassi salari dei Paesi emergenti – ha osservato la Saraceno – questa soluzione ha mostrato tutta la sua fragilità. E a pagarne il costo sono stati appunto soprattutto coloro che stavano per entrare nel mercato del lavoro, i giovani, tanto più se a bassa istruzione o con qualifiche non spendibili su un mercato del lavoro insieme asfittico e in via di trasformazione". Come ha osservato Alberto Magnani su Il Sole 24 Ore, "i dipendenti under 35 hanno guadagnato in media 4mila euro in meno l’anno rispetto al salario generale, mentre la media retributiva si attesta al -21% rispetto agli standard dei colleghi di altre fasce anagrafiche". Non è un caso che in dieci anni l’indice di povertà assoluta degli under 35 è raddoppiato. 

Ora, proprio quando si stava andando verso un possibile assestamento e verso una probabile stabilizzazione dei contratti, il nuovo tsunami che rischia di infrangersi ancora una volta sugli attuali trentenni, come dimostrano anche le storie, tutte uguali, di migliaia di giovani sconvolti dal Coronavirus. Tant’è che secondo un recente dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e Ipsos, per la maggioranza dei giovani italiani la condizione lavorativa è già peggiorata rispetto al non facile periodo precedente. "I millennials – ha avvisato Rosina, docente di demografia dell’Università Cattolica di Milano, su Linkiesta.it - ora sono coloro che nel complesso rischiano di pagare di più l’impatto di due crisi, con ricadute verificatesi nella fase cruciale di entrata nel mondo del lavoro e di progettazione della vita adulta. Saranno i trentenni a veder maggiormente ridursi sia la possibilità di trovare lavoro sia il rischio di perderlo, in una fase della vita in cui tutto ciò si ripercuote pesantemente nel rischio di rinunce definitive sugli obiettivi personali e le scelte di vita". 

A loro volta, i ricercatori dell’Osservatorio 'Lockdown. Come ha cambiano le nostre vite' di Nomisma e CRIF fanno sapere che a soffrire maggiormente durante il periodo di stop forzato sono i trentenni (old millennials - 32-39 anni): tra loro la percentuale di chi ha avuto umore nero schizza al 17 per cento, con gli under40 in difficoltà ad affrontare almeno 3 voci di spesa nel 44 per cento. 

E’ sempre più urgente, dunque, che si attivino innovazioni anche legislative per tutti ma soprattutto per tentare di non perdere definitivamente un’intera generazione: "Per evitare che la cassa integrazione si trasformi nell’anticamera della disoccupazione – insiste Maurizio Del Conte, ex numero uno dell’Anpal, docente alla Bocconi - si devono prevedere incentivi economici per la ricollocazione dei lavoratori, anche con contratti temporanei, verso i settori che per primi agganceranno la ripartenza e che si troveranno in difficoltà a reperire le competenze necessarie, come la sanità, la logistica, e tutta la filiera del digitale". E sull’eliminazione di vincoli e rigidità normative che finirebbero per penalizzare proprio i trentenni incalza Emmanuele Massagli, Presidente di Adapt: "Vanno cancellati i limiti del Decreto Dignità". 

Non manca, però, una nota di ottimismo pur nella disperazione attuale. "Rispetto alla crisi del 2010 - ha notato Rosina - ora invece c’è una nuova normalità tutta da costruire su basi diverse. Il che potrebbe anche essere una opportunità per superare vecchi vincoli e resistenze. Se metteremo o meno le nuove generazioni nelle condizioni di partecipare in modo pieno alla ricostruzione del Paese su basi nuove per far partire un nuovo processo di sviluppo da protagonisti. Cosa che i ventenni e i trentenni del dopoguerra hanno avuto la possibilità di fare".

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