Il problema ormai è arcinoto: l’Italia non è un Paese per giovani. Il lavoro è poco, i contratti precari e chi può scappa all’estero. Nel 2021, infatti, la disoccupazione nella fascia di età 15-24 anni si è attestata al 29,8%, la quarta più alta in Europa. Questo mentre nel 2020 i Neet - ovvero giovani tra i 15 e i 34 anni che non lavorano, non studiano e non frequentano corsi di formazione - superavano i 2 milioni, il 25,1% della popolazione in quel range d’età. Ma la situazione è piuttosto preoccupante anche per chi un lavoro ce l’ha. Le condizioni che vengono offerte, infatti, sono tutt’altro che irresistibili. "I giovani iniziano spesso la loro carriera con un contratto a tempo determinato che in moltissimi casi si rivela una trappola che li costringe a lunghi periodi di incertezza lavorativa, con ripercussioni importanti sulle decisioni di consumo e fertilità", si legge in uno studio pubblicato su LaVoce.info. Studio che analizza, in particolare, la flessibilizzazione dei contratti a termine introdotta con il decreto Poletti del 2014. Il bilancio del provvedimento, a otto anni di distanza, è piuttosto negativo. Bilancio negativo "L’aumento della flessibilità dei contratti a tempo determinato - scrivono gli autori dell’indagine - ha rallentato il processo di stabilizzazione dei nuovi entrati nel mercato del lavoro, con effetti negativi sulla loro progressione di carriera e i loro salari nel medio periodo". Al fine di incentivare il ricorso da parte delle imprese a rapporti di lavoro meno onerosi dal punto di vista delle garanzie e delle tutele, infatti, il decreto ha allentato i vincoli sui contratti a termine. Prima di tutto, è stato tolto l’obbligo di una causale. E poi è stato esteso il numero di proroghe, da 1 a 5, all’interno della durata massima di 36 mesi. Lo studio distingue i lavoratori ...
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