Mercoledì 24 Aprile 2024

Lavoro, solo la creatività sconfigge i robot

Carlo Ratti, ingegnere che insegna al Mit di Boston: "Non penso a un aumento della disoccupazione, molte attività dovranno però per forza evolversi"

Il robot Pepper

Il robot Pepper

Dall'operatore di call center al bigliettaio dei treni; dall’impiegata di banca allo sportello, al caso limite dell’arbitro di calcio: sono alcune delle professioni che, secondo uno studio della Oxford University, rischiano di scomparire da qui ai prossimi venti anni. Si tratta del 47% dei lavori attuali, quasi la metà. La tecnologia non fa sconti: i siti di prenotazione online, ad esempio, hanno inferto un duro colpo alle agenzie di viaggio; i software capaci di tradurre i testi hanno reso la vita più difficile ai traduttori in carne e ossa. Ma Carlo Ratti, architetto e ingegnere del Mit considerato tra le 50 persone che cambieranno il mondo, invita a non avere paura del futuro: scompariranno i lavori manuali, magari quelli più pesanti nei quali verremo sostituiti dai robot. Ma la creatività – quella di ingegneri, architetti, scrittori – non può essere sostituita da una macchina. 

di GIORGIO CACCAMO

Roma, 31 luglio 2017 - «MI SPIACE per i fan della fantascienza: le città del futuro non saranno diverse dalle nostre. Ci saranno sempre pavimenti, muri e finestre...». La previsione non è di un nostalgico dei bei tempi andati. Anzi. Carlo Ratti, 46 anni, architetto, ingegnere e urbanista torinese, insegna al Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston. Forbes l’ha inserito tra i «Names You Need to Know» (i nomi da conoscere assolutamente), Wired tra le «Cinquanta persone che cambieranno il mondo». Attualmente è a Singapore, dove dirige Smart, centro di ricerca del Mit nato in collaborazione con la National research foundation della città-Stato asiatica, che studia il futuro della mobilità urbana.

Professor Ratti, come cambieranno le nostre città nei prossimi decenni? «Mi spiace deludere i fan di film come Metropolis o Blade Runner, ma temo che le città del futuro non saranno poi troppo diverse da quelle di oggi. Possiamo immaginare i più arditi prodigi tecnologici o architettonici, ma in casa avremo sempre bisogno di piani orizzontali per spostarci, facciate per proteggerci, finestre come interfacce verso il mondo esterno, muri verticali per separare gli spazi. Cambierà invece il modo di fare esperienza della città. Spostarsi, gestire le risorse energetiche, incontrarsi, fare acquisti, lavorare, comunicare».

Siamo pronti per questo futuro o rischiamo di arrivare impreparati? «Per dirla scherzosamente alla Albert Einstein: ‘Non penso mai al futuro. Arriva così presto...’».

Quasi 15 anni fa, Bill Gates non aveva dubbi: ‘Servono più ingegneri che filosofi’. Ma è davvero così? Non ci sarà spazio per le professioni creative? «I vecchi confini tra discipline stanno scomparendo. La domanda è: dovremmo essere tutti generalisti, quelli che la McKinsey ha definito T-shaped (a forma di T), contrapposti agli I-shaped? Cioè professionisti molto competenti in una determinata area, ma che possiedono e coltivano anche altre conoscenze, capaci di dialogare in modo interdisciplinare».

Però uno studio di Oxford stima che in vent’anni sarà persa la metà dei lavori che si fanno oggi. Sarà solo colpa della tecnologia? E come si guadagnerà con meno lavoro? «Personalmente continuo a essere ottimista. Aveva ragione Lewis Mumford, il grande studioso della storia della tecnologia, quando scriveva che le macchine consentono ‘l’eliminazione del lavoro servile: ogni lavoro che deforma il corpo, ottunde la mente e mortifica lo spirito’. Secondo gli studiosi Carl Benedikt Frey e Michael Osborne il 47% dei lavori che conosciamo scomparirà nei prossimi due decenni. Ma a estinguersi saranno solo le professioni che possono essere sostituite dalla robotica e dall’intelligenza artificiale. Per il resto non ci sarà necessariamente un aumento della disoccupazione, bensì un cambiamento del mercato del lavoro».

Chi sopravvivrà alle macchine? «Resisteranno i lavori creativi: ingegneri, programmatori, stilisti e scrittori. Così come quelli legati al mondo del care, del prenderci cura gli uni degli altri, dal parrucchiere alla badante. Anche il mestiere più antico del mondo potrebbe essere uno dei più duraturi...».

Quindi non è tutto da buttare via nel nostro passato e nel presente... «Credo che il punto chiave sia proprio la parola ‘buttare’. Non si tratta di buttare, ma di far evolvere».

Anche per la politica e l’economia il futuro sarà una bella sfida. «Oltre a saper gestire le novità tecnologiche senza esserne sopraffatti, sarà fondamentale la redistribuzione. Chi trarrà beneficio dal nuovo ordine? Gli investitori o chi è stato buttato fuori dal mercato del lavoro? Una possibile soluzione potrebbe essere far pagare le tasse ai robot, un modo come un altro per ridistribuire la ricchezza».

Un tratto comune a tutte le epoche è la ‘paura del diverso’. Chi sarà il ‘diverso’ del futuro? I robot, appunto? «I timori verso la tecnologia non sono nulla di nuovo: anche il cinema – pensiamo a Tempi moderni di Charlot – li ha messi in scena. Ma ‘mettere in scena’, parlare di questi timori, è fondamentale perché alimenta il dibattito sul futuro e ci aiuta a costruirlo. L’impatto del ‘diverso’ non è predeterminato, ma dipende dalle nostre scelte individuali e collettive».

Elon Musk, il fondatore di Tesla, dice che presto avere un’auto con il volante sarà démodé come possedere un cavallo. Il futoro saranno le auto volanti?  «Il mondo dell’artificiale è sempre in evoluzione, fa parte della logica delle cose. Tuttavia, per quanto riguarda le macchine volanti di Musk, come direbbe il senatore Razzi, ‘questo non credo...’. I droni sono sempre più diffusi, ma resto dubbioso sull’uso su vasta scala nel mondo della mobilità. Possono comunque rivelarsi utili, ad esempio per trasportare beni in aree remote e poco popolate. È la proposta del Droneport Project: un porto per droni in Africa, presentato alla Biennale di Venezia nel 2016».

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