LA RIVOLTA DELLE DOC

PUR con le dovute proporzioni, questa turbolenta estate della politica italiana ha registrato, ovviamente con meno clamore, ma con altrettanta sorpresa, un analogo terremoto in tema di vini doc. E’ recente, per esempio, la decisione di un produttore della notissima denominazione di origine ‘Prosecco’, di rinunciare ad utilizzarla in etichetta, in favore della Doc ‘Valdobbiadene’. La ragione che ha portato a questa scelta, contro forse quello che immagina l’opinione pubblica, è una più o meno tacita accusa di banalizzazione che registra il marchio collettivo Prosecco, dovuta ad un eccesso di offerta; un fenomeno ben noto in economia, quando si rompe l’equilibrio con la domanda, costringendo le imprese ad importanti abbassamenti dei prezzi di vendita, specie nei mercati internazionali, pur di difendere la propria quota di vendite e smaltire le scorte. Un caso, si potrebbe dire, di eccesso di successo, dovuto alla corsa avvenuta negli ultimi anni a mettere vigneti destinate a produrre prosecco, sognando il nuovo Eldorado. Un caso altrettanto clamoroso, seppur diverso, è la recente presentazione di un vino d’Italia, ‘Terregiunte’, nato dalla collaborazione di due noti marchi aziendali, la Masi del Veneto e la Vespa della Puglia, che ha valorizzato la pur già esistente denominazione ‘vino d’Italia’ come nuovo modello di prodotto e marketing enologico, da affiancare alle Doc. Premesso che nel caso in questione non poteva fare altrimenti, poiché è proibita ovviamente la combinazioni di due vini di denominazioni di origine, il segnale che lascia questa provocazione fa comunque utilmente riflettere.

CI ERAVAMO abituati a pensare che le denominazioni di origine fossero la garanzia della massima eccellenza, la perfetta tutela del consumatore nel garantire un sistema di controllo contro ogni rischio di contraffazioni, il simbolo del territorio per promuovere le esternalità positive che produce. Tutto ciò resta verissimo. Guai a pensare che il problema sia l’istituto giuridico ed economico della doc. Forse però il problema è la sua gestione, la modalità con cui è regolato, il meccanismo del suo governo. Del resto il problema non è nuovo. Per anni i più famosi e costosi vini italiani, i cosiddetti ‘supertuscan’, sono stati vini che non erano Doc, ma nella maggior parte dei casi indicazioni geografiche con il nome Toscana in etichetta. Quindi una categoria che secondo la regolamentazione comunitaria è ben sotto nella piramide della qualità alla denominazione Doc e Docg. Qualcosa perciò nella governance dei prodotti di origine e nei consorzi di tutela dovrà essere urgentemente rivisto, se vogliamo e dobbiamo tutelare questo immenso patrimonio.

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