Sabato 20 Aprile 2024

La qualità della vita? Conta più dello stipendio

Rilevazione di Randstad sull’attrattività delle aziende da parte dei potenziali dipendenti. .

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di Alberto Levi

Nell’ultimo anno, solo il 17% degli italiani ha iniziato a lavorare per un’altra azienda, l’83% non ha cambiato lavoro e il 28% di questi ultimi ha intenzione di farlo nei prossimi dodici mesi. E la ricerca di un impiego si fa sempre più online. Per tutti il work-life balance è il primo fattore su cui si basa la scelta del datore di lavoro, seguito da atmosfera di lavoro piacevole e da retribuzione e benefit interessanti. E’ quanto emerge dalla ricerca Randstad Employer Brand commissionata da Randstad, primo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane, all’istituto di ricerca Kantar Tns e condotta su quasi 185mila persone in 33 Paesi in modo indipendente con un’analisi approfondita su più di 6.100 aziende a livello globale, per misurare il livello di attrattività percepita delle aziende italiane da parte dei potenziali dipendenti.

I settori più attraenti per i potenziali dipendenti sono media, automotive, servizi informatici, industria aeronautica e largo consumo. Secondo il campione intervistato, il settore media offre prevalentemente solidità finanziaria, ottima reputazione e lavoro interessante. Alla solidità finanziaria l’automotive affianca le nuove tecnologie e un’ottima reputazione, il largo consumo un’ottima reputazione e la sicurezza del posto. Industria aeronautica e servizi informatici sono primi per uso delle nuove tecnologie e puntano su stabilità finanziaria e ottima reputazione.

I contatti personali sono anche nel 2020 il canale più utilizzato per trovare un nuovo impiego, indicati dal 29% del campione, anche se in calo rispetto al 38% che li aveva votati un anno fa, seguiti dalle agenzie per il lavoro (26%). Le ricerca di nuove opportunità si svolge sempre più online: LinkedIn è il terzo canale più utilizzato ed è cresciuto di ben dieci punti rispetto al 2019 (23%), e cresce anche l’uso di siti web come Subito.it (21%, +5%), Infojobs (20%, +4%), Google (17%, +5%) e portali specializzati in annunci di lavoro (19%, +6%), fra cui emergono Indeed (60%) e Jobs.com (32%). Il 16% cerca direttamente nella sezione ‘Lavora con noi’ dei siti aziendali, solo il 9% si rivolge ai servizi pubblici per l’impiego, il 7% ai recruiters, il 6% alle fiere del lavoro. Più di una persona su dieci consulta i social media per trovare un impiego, soprattutto Facebook (79%), poi Instagram (32%), Twitter (13%) e Snapchat (11%).

Per oltre la metà di chi ha cambiato lavoro o ha intenzione di farlo nei prossimi dodici mesi, la motivazione è economica: il 53% cerca uno stipendio più elevato, il 50% benefit più interessanti. Il 15% di chi ha cambiato per avere una busta paga più pesante non ha però ottenuto nessun miglioramento, il 20% ha visto il suo stipendio crescere fino al 5%, il 20% fino a un +10%, il 10% fino a un +15%, il 14% fino a un +20%. Per quasi sette intervistati su dieci (68%), invece, le ragioni sono prevalentemente emotive: circa uno su due non si sentiva più motivato (il 49% di chi ha cambiato, il 52% di chi vuole farlo), il 40% percepisce troppa distanza fra i propri valori e quelli aziendali, più di un terzo ha un cattivo rapporto con manager e colleghi (38% di chi ha già cambiato, 32% di chi lo farà).

Le motivazioni economiche coinvolgono quasi tutte le fasce di età, con il 54% degli under 25, dei Millennial (25-34enni) e della Generazione X (35-54enni) che lascerebbe l’attuale datore di lavoro se ricevesse uno stipendio più elevato altrove.

I benefit sono particolarmente ricercati dai Millennial, che nel 53% cambierebbero se trovassero un datore di lavoro più generoso su questo fronte. Per i 35-54 spesso la propensione al cambiamento deriva da una mancanza di motivazione (53%) o da una mancata corrispondenza fra i propri valori e quelli aziendali (42%).

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