Mercoledì 24 Aprile 2024

L’Italia da bere corre nel mondo Balzo dell’export di liquori: vale oltre un miliardo di euro

Fabrizio Ratiglia

ROMA

L’ITALIA da bere piace sempre di più. E’ un trend inarrestabile che sta prendendo piede in tutti i continenti. Dall’Europa, agli Stati Uniti, alla Russia, al Canada, all’estremo oriente, all’Australia, non c’è bar, ristorante o catena di Gdo che conti qualcosa che non abbia bene in mostra una bottiglia Made in Italy. E non stiamo parlando del vino che merita una narrazione a parte ma di vermouth, amari, acquaviti e superalcolici che stanno vivendo una seconda giovinezza.

D’altronde cocktail iconici come il Martini, il Negroni e il Campari hanno il Dna Italiano e non sarebbero mai nati se non ci fossero stati i produttori della penisola. Ed è soprattutto all’estero che stanno vivendo una crescita inarrestabile. Dopo il +14,4 % registrato nel 2017, lo scorso anno è stato quello del boom: l’export dei liquori italiani ha raggiunto un valore pari a 1 miliardo 78 milioni di Euro con una crescita percentuale del 25 per cento.

NEGLI USA si evidenzia il grande balzo in avanti con 179 milioni di Euro ed una clamorosa variazione percentuale del 48% sull’anno precedente. Numeri incredibili. La Brexit e lo scenario del no deal desta però molte preoccupazioni, essendo il Regno Unito uno dei mercati principali con 109 milioni di Euro e una crescita del 38 per cento sull’anno precedente.

«IN QUESTI risultati – sottolinea Micaela Pallini, presidente del settore Spiriti di Federvini - la promozione gioca un ruolo importantissimo per far percepire il valore, la qualità e la varietà dei nostri prodotti. Fondamentali sono stati i Road show in Stati Uniti e Canada dedicati al mondo degli aperitivi, liquori, amari e distillati tipici della tradizione italiana che abbiamo organizzato grazia ai fondi del Made in Italy e con il sostegno dell’Ice».

Sono tanti i gruppi italiani che stanno espandendo la loro presenza all’estero. Sono tutti in crescita. Sul mercato interno invece, oltre a Pallini, molto vivaci Branca, Ilva Saronno, Montenegro, Molinari e Caffo che si dividono quote di business con aziende medie e piccole ma con una lunga storia e con tradizioni antiche.

Poi naturalmente ci sono le grandi multinazionali degli Spirits come Diageo, Pernod Ricard, Bacardi e Campari che è rimasta italiana al contrario di Martini&Rossi venduta nel 1993. Il motivo di questo successo secondo il Presidente Pallini «è proprio la nostra storia, legata a volte alle sorti di una famiglia, nonché la capacità di tramandare una cultura del bere tutta italiana che accompagna ogni momento legato alla convivialità, dall’aperitivo al digestivo».

Nei prossimi 5 anni - secondo le previsioni di Iwsr, una delle maggiori società di analisi specializzate in questo settore - il mercato globale degli alcolici continuerà a crescere ma non mancheranno le incognite, tra cui naturalmente il prezzo al consumo.

«Fra il 2013 ed il 2015 il settore delle bevande alcoliche ha subito quattro aumenti di accisa e l’incremento finale è stato quasi del 30% - spiega ancora Micaela Pallini, presidente del settore Spiriti di Federvini – ma fondamentale è spingere sugli accordi di libero scambio per scongiurare ulteriori dazi, evitare chiusure e protezionismi e favorire relazioni commerciali virtuose grazie alle nostre strutture diplomatiche. Per crescere ancora servono sostegno da parte delle istituzioni e meno burocrazia. L’esempio da seguire è quello tra l’Unione europea e il Giappone che prevede già, dal primo febbraio di quest’anno, un netto abbattimento delle barriere tariffarie per le bevande alcoliche».

SERVIREBBE un accordo simile anche per la Cina dove però – secondo i produttori italiani di Spirits - è ancora troppo difficile entrare. La loro speranza è che dopo la firma del memorandum sulla Nuova Via della Seta, prevista sabato prossimo a Roma durante la visita di Xi Jinping, diventi più facile penetrare in un mercato da un miliardo e 386 milioni di consumatori.

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