Giovedì 25 Aprile 2024

L’innovazione mette il turbo al Pil Più 13% nei prossimi dieci anni grazie all’intelligenza artificiale

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MILANO

IL 13% IN PIÙ in dieci anni. È l’incremento del Pil, cioè della ricchezza nazionale, che l’Italia avrebbe entro il 2030 investendo nell’innovazione e in particolare nell’intelligenza artificiale, la tecnologia che fa muovere i robot e i dispositivi automatizzati nell’industria. A fare questa stima è stata la multinazionale della consulenza McKinsey & Company, in una ricerca presentata alla stampa la scorsa settimana. «L’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità unica per la competitività», ha detto Massimo Giordano, managing partner di McKinsey per l’area del Mediterraneo. McKinsey invita ad incrementare gli investimenti in favore delle startup che operano nell’ambito dell’intelligenza artificiale, nonostante negli ultimi tre anni il numero di società si è triplicato e gli investimenti sono a livelli record, con 21 miliardi di euro nel 2018 (+360% rispetto agli ultimi 5 anni).

IL MERCATO del venture capital, infatti, è ancora poco sviluppato in Europa e il 90% di questi finanziamenti è concentrato in soli 8 stati membri. Per dare sprint all’economia, insomma, bisogna innovare. Aldilà di queste condivisibili enunciazioni di principio, però, il Sistema Italia si trova inevitabilmente di fronte a una difficoltà tutt’altro che trascurabile. Per investire nell’innovazione occorrono soldi e le piccole e medie imprese italiane (pmi), che della nostra economia sono la spina dorsale, spesso non hanno le spalle abbastanza larghe per affrontare la sfida. Oppure, in molti casi, non hanno una cultura manageriale sufficiente per sposare le tecnologie vincenti del domani. A testimoniarlo sono le rilevazioni dei ricercatori del Politecnico di Milano che hanno creato un Osservatorio sull’innovazione digitale nelle pmi.

SECONDO l’ultima analisi dell’Osservatorio pubblicate nell’estate scorsa, ben il 58 per cento delle imprese italiane si dichiara disinteressato all’adozione del cloud computing, cioè quell’insieme di tecnologie che permettono di elaborare, archiviare e memorizzare dati attraverso l’utilizzo di risorse distribuite sulla rete di internet. Più della metà delle aziende (per la precisione il 52 per cento) non conosce o considera non utilizzabili al proprio interno i big data analytics, cioè l’analisi e la gestione di una gran mole di dati con tecnologie avanzate per migliorare l’efficienza e la competitività del business. Sempre secondo l’Osservatorio del Politecnico, il 57 per cento delle pmi non è assolutamente interessato ad altre innovazioni come lo smart working, cioè alla gestione più flessibile degli spazi e dei luoghi di lavoro dei dipendenti, grazie all’utilizzo del web e delle tecnologie digitali mobili. Leggendo questi dati non molto confortanti, dunque, emerge la necessità di fare ancora parecchia strada.

NON A CASO, nelle scorse settimane le associazioni di categoria, da Confindustria a quelle rappresentative delle piccole e medie imprese, hanno più volte fatto appello al governo rinnovare gli incentivi all’innovazione introdotti negli anni scorsi, da quelli per Industria 4.0 al superammortamento, che consentono di avere un notevole beneficio fiscale ogni volta che viene effettuato un investimento produttivo in tecnologia. L’esecutivo si è impegnato a dare risposte a queste richieste con la prossima Legge di Bilancio. Prima di vedere se l’esecutivo manterrà la parola, bisognerà però conoscere più nel dettaglio i contenuti della prossima manovra.

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