Venerdì 19 Aprile 2024

"Copiate Jobs: per far crescere Apple scelse il manager che progettava i bagni"

Apple presenterà i nuovi iPhone 14, Apple Watch Series 8 e AirPods Pro 2

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MILANO

«QUANDO si ha il ruolo istituzionale di scegliere e supportare gli innovatori per far crescere le loro idee e trasformarle in un business concreto, ci si trova in una posizione alquanto scomoda. Il punto è che non occorre tanto essere esperti di un settore, quanto soprattutto innovatori a propria volta. Se ci pensa, gli esperti tendono a riconoscere solo altri esperti come loro, ma l’innovazione è una rivoluzione dello status quo. L’innovazione la fanno i non esperti».

È questo il paradosso: che è importante saper riconoscere il nuovo, ma se è riconosciuto subito come tale, così tanto nuovo non è… Del resto lo aveva già acutamente messo in luce Schopenhauer due secoli fa: «Ogni verità attraversa tre fasi: prima viene ridicolizzata, poi incontra una violenta opposizione, infine viene accettata come ovvia». Roberto Verganti, docente di Leadership and Innovation al Politecnico di Milano, è l’unico italiano nel board dello European Innovation Council (EIC), il nuovo ente nato per mettere il turbo alla ripresa continentale finanziando aziende innovative emergenti. Almeno sulla carta, l’EIC dispone di un sostanzioso budget di 10 miliardi ed è inserito all’interno del programma Horizon Europe, che a sua volta è dotato di finanziamenti ancor più cospicui: ben 100 miliardi tra 2020 e 2027.

È risolvibile quel paradosso?

«Si può fare, c’è tanto lavoro ma gli strumenti ci sono. Bisogna dare spazio alle figure giuste. Pensi a Jonathan Ive, che fino al mese scorso è stato il Chief design officer di Apple, l’uomo che ha realizzato molti dei prodotti mitici di Cupertino. Prima faceva il progettista di bagni. Se fosse stato un progettista di computer avrebbe realizzato computer e strumenti elettronici come tutti gli altri».

Quindi è stata proprio la sua diversità, l’estraneità al sistema vigente che lo ha contraddistinto come innovatore?

«Ive veniva dal mondo della casa e proprio in quegli anni Novanta il computer stava per entrare massicciamente in tutte le abitazioni. Con quel curriculum altri non gli avrebbero dato un centesimo, Steve Jobs invece sapeva dove stava andando e lo ingaggiò».

Facciamo un passo indietro: il Consiglio Europeo per l’Innovazione è nato sotto la guida della precedente Commissione e Parlamento. Le recenti elezioni hanno cambiato qualcosa o i nuovi vertici dell’Unione sposeranno ancora progetto e dotazioni finanziarie?

«Non sono in grado di dirlo con certezza, ma ritengo che non ci saranno ostacoli. L’idea era stata inserita dentro Horizon Europe e già discussa. Insomma, tutto può essere, ma non mi aspetto stravolgimenti anche perché il lavoro è già partito in via sperimentale».

Sull’innovazione l’Europa è in ritardo. Da una parte c’è una burocrazia troppo sviluppata, dall’altra grandi centri di ricerca che però hanno una bassa propensione a tradurre in business le proprie scoperte. Insomma, gran movimento a centrocampo ma pochi gol…

«Tutto vero, fatichiamo a trasformare la tanta e buona ricerca in innovazione. L’EIC si propone di colmare questo gap diventandone l’unico punto di riferimento. L’idea centrale è quella che abbiamo mutuato dalla DARPA americana (la Defense advanced research projects agency, ndr): avvalerci di program manager nei diversi ambiti tecnologici che andranno a cercare gli innovatori. L’aspetto rivoluzionario è che si finanzieranno gli uomini, non le innovazioni. Al centro ci saranno quindi le persone, non le loro idee. Anche perché le idee iniziali, quando sono radicali, molto spesso sono sbagliate. Si parte in un modo, ma è durante il percorso che si finisce per trovare la soluzione».

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