Giovedì 25 Aprile 2024

L’eolico fa boom, ma solo all'estero. In Italia è stallo

Maxi contratto per Saipem in Scozia e Francia. Da noi burocrazia e ricorsi frenano gli investimenti.

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Saipem si aggiudica nuovi contratti nell’eolico offshore (in mare) per un valore complessivo di 90 milioni. Le nuove commesse, annunciate ieri dal gruppo guidato dall’ad Stefano Cao, riguardano progetti attualmente in fase di sviluppo al largo delle coste dell’Inghilterra, della Scozia e della Francia. Nel dettaglio, Dogger Bank Offshore Wind Farms ha assegnato a Saipem un contratto per il trasporto e l’installazione di due piattaforme ciascuna della capacità di 1,2 GW. Una volta terminato, Dogger Bank sarà il più grande parco eolico offshore al mondo, a 130 chilometri al largo della costa nord-orientale dell’Inghilterra. Saipem inoltre ha siglato un contratto di installazione per il parco eolico offshore Seagreen (1.075 MW), al largo della costa orientale della Scozia e un altro per trasporto e installazioni del parco di St. Brieuc, in Bretagna, sviluppato da Ailes Marines (gruppo Iberdrola). "Questi nuovi contratti – ha commentato Francesco Racheli, responsabile della divisione E&C Offshore – sono il risultato di una strategia che ci ha portato a diventare un player di riferimento nella transizione energetica a livello globale".

Se Saipem e altre grandi imprese italiane si aggiudicano commesse all’estero, più difficile è il contrario. A partire dagli investimenti in energia. Che soffrono, come quelli per le grandi opere, avverte l’ad di Terna Stefano Donnarumma, tempi lunghi e incertezze autorizzative. "Ogni miliardo di investimenti di Terna genera circa 3 miliardi in termini di Pil" ma ogni progetto importante "si conclude in circa 10 anni, di cui 7 di autorizzazioni". In attesa che i fondi del Recovery fund europeo facciano ripartire gli investimenti, quest’anno, ha avvertito Bankitalia, subiranno, a causa della pandemia, un crollo del 15%. Ma il Covid, secondo il presidente di Confindustria Energia, Giuseppe Ricci, potrebbe accelerare la transizione energetica.

Per essere un Paese appetibile per gli investimenti delle aziende, però, vanno eliminate le barriere che li frenano. Perché se l’Italia è penultima in Europa (dietro la Grecia) per gli investimenti diretti esteri (circa il 20% del Pil), la causa, secondo la Cgia di Mestre risiede nelle troppo tasse, nell’eccessiva burocrazia, in una giustizia civile poco efficiente e nei lunghi tempi di pagamento della P.A.

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