Venerdì 19 Aprile 2024

Ittica, torna il vento in poppa Business e prezzi in aumento Ma dipendiamo troppo dall’estero

Monica Pieraccini

ROMA

SEGNALI positivi per il comparto della pesca, che può così guardare al futuro con maggiore ottimismo. Secondo i dati Istat la produzione, pari a 1.738 milioni di euro correnti, è cresciuta dello 0,5% nel 2018. In aumento anche i prezzi, del 2,1%, mentre il valore aggiunto è rimasto stabile, con 952 milioni di euro su un totale di 33 milioni tra agricoltura, silvicoltura e pesca. Le imbarcazioni sono circa 12mila in Italia, che operano su 9.136 chilometri di costa, per un totale di 70mila occupati e un fatturato che oscilla dai 55 ai 60 milioni di euro. Nei mari italiani si pescano ogni anno circa 180 milioni di chili di pesce e oltre 140 milioni di chili sono prodotti in acquacoltura. I consumi degli italiani sono in aumento, con una media annua (il dato è del 2017) di oltre 28 chili di prodotti ittici a testa, superiore al resto dell’Europa.

LA CRISI in cui si è dibattuto il comparto può forse dirsi superata, anche se è presto per parlare di rilancio. Negli ultimi dieci anni il numero di imbarcazioni è sceso del 30% a livello nazionale, con picchi fino al 50%, come ad esempio in Toscana, e nel contempo le importazioni hanno superato il miliardo di chili l’anno. Sulle tavole italiane, inaffti, 8 pesci su 10 sono stranieri e il pesce che arriva dall’estero non è poi così sicuro. «Per non cadere in inganni pericolosi per la salute occorre garantire la trasparenza dell’informazione ai consumatori dal mare alla tavola estendendo l’obbligo dell’indicazione di origine anche ai menù dei ristoranti con una vera e propria ‘carta del pesce’, anche se – ha detto Ettore Prandini – passi avanti sono stati fatti sull’etichettatura nei banchi di vendita, che devono però ora essere accompagnati dall’indicazione della data in cui il prodotto è stato pescato».

PER RIDURRE questa dipendenza dall’estero è necessario inoltre aumentare la produzione nazionale. «Oltre al pescato – suggerisce il responsabile toscano di Coldiretti Impresapesca, Danilo Di Loreto – dobbiamo implementare un allevato di qualità, puntando su allevamenti ‘antibiotic free’, sostenibili per l’ambiente e poco intensivi». Di esempi eccellenti ce ne sono, in tutta Italia, anche in Toscana. Come l’impianto di acquacoltura a Capraia, dove si allevano orate e branzini biologici senza uso di antibiotici o la cooperativa di pescatori che ha realizzato il primo allevamento di cozze della regione nel golfo di Follonica. Per il rilancio del settore, dicono gli addetti ai lavori, serve anche un cambio di passo nella mentalità dei pescatori: da cavatori di pesce dal mare a imprenditori del mare. «Non è più necessario – fa presente – pescare di più per aumentare la redditività. Anzi. Pescare meno e vendere meglio deve essere l’obiettivo dei prossimi anni per chi opera nel settore ittico».

COME FARE? «Diversificando i canali distributivi, perché non ci sono solo i grossisti a cui vendere il pesce fresco, ma anche la media, la grande distribuzione, alberghi e ristoranti. E’ possibile inoltre – risponde Di Loreto – puntare sulla trasformazione del prodotto, saperlo presentare e cucinare, valorizzarlo. Abbiamo 500 specie di pesce commestibili nel Mediterraneo da far conoscere nelle scuole, proporlo per le mense, per la pescaturismo, portarlo nei mercati e cuocerlo per lo street food». Secondo uno studio che risale al 2015, commissionato dal ministero e realizzato da Coldiretti, si stima che, solo diversificando i canali distributivi, il valore di 800 tonnellate di pesce può salire da 4 a 10 milioni. Un aumento del 150% che può fare la differenza: un’opportunità che il comparto ittico nazionale non può lasciarsi sfuggire.

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