«Italia è nel circolo virtuoso Il futuro? Le plastiche bio»

Pianeta packaging, intervista a Mariagiovanna Vetere

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È arrivata per parlare di presente e futuro, ma il packaging, qui, ha una lunga storia alle spalle.

«Sono stata molto felice quando ho saputo dell’invito di Ucima, perché da italiana, anche se lavoro Oltreoceno, conosco bene l’importanza del distretto della Packaging Valley tanto per la produzione di imballaggi quanto, soprattutto, per quella dei macchinari che li rendono possibili.– risponde Mariagiovanna Vetere, direttore per le relazioni istituzionali del produttore statunitense di biopolimeri per l’imballaggio Natureworks e membro del board di Ameripen, l’associazione a stelle e strisce che monitora i rapporti tra industria del confezionamento e tutela ambientale, ospite del forum sul packaging di Bologna –. In più, aggiungerei che fa bene discutere ora di questi argomenti, viste le nuove normative che stanno colpendo, tra virgolette, l’universo del confezionamento e i materiali plastici».

Colpire l’industria, dunque, ingrassa solo l’erario o serve anche per scopi virtuosi?

«Il punto, come in molti altri casi, è trovare l’equilibrio tra la tutela dell’ecosistema e quella, altrettanto necessaria, del mondo del business e dei posti di lavoro che genera. Dal mio punto di vista, parlando di questo comparto, farlo è davvero possibile, partendo dalla comprovata vocazione all’innovazione di cui l’industria italiana ha saputo spesso dare prova e puntando ancora, come già facciamo, sul miglioramento delle infrastrutture di riciclo e compostaggio e sulla differenziata».

Quindi non siamo poi così indietro.

«Assolutamente no, anzi. L’Italia, se si parla di raccolta e trattamento dei rifiuti, presenta un sistema che gli altri ci invidiano, grazie a un decreto Ronchi che ha obbligato i Comuni a provvedere al tema imballaggi con la lungimiranza, caso quasi unico, di metterla in mano a gestori privati. Così si è creato un circolo virtuoso per cui le aziende pagano i contributi ambientali fornendo alle amministrazioni le risorse per raccogliere e riciclare. Poi, c’è l’avanzamento della tecnologia e della scienza, che per quanto concerne il compostaggio ci vede all’assoluta avanguardia».

Parlando di plastica, invece, la situazione italiana come si presenta?

«Anche su questo stiamo crescendo, grazie a numerose eccellenze che lavorano con competenza e pensando al domani, ma il problema della plastica, oltre alla cattiva stampa di cui gode, è che sarebbe più corretto parlarne al plurale, perché è proprio la grande varietà di plastiche utilizzate per imballare cibi e prodotti di ogni genere che, accanto alla presenza di residui difficili da eliminare e trattare, complica la questione».

E qui entrano in gioco bioplastiche e biopolimeri, dei quali lei è esperta.

«Innovare vuole dire anche rinnovare e rendere più sofisticati i materiali tradizionali, come accade con i biopolimeri, derivati da materie prime naturali come lo zucchero e, ad esempio nel caso di quelli utilizzati ora per i sacchetti della spesa, totalmente biocompostabili e, quindi, in grado di permettere il recupero integrale non solo del contenitore, ma anche del rifiuto organico contenuto».

Per Natureworks, invece, i biopolimeri che orizzonte hanno?

«Le resine di nuova generazione che produciamo, intanto, servono per coniugare sostenibilità ed efficienza nella realizzazione di posate monouso e capsule per il caffè, da raccogliere dopo l’utilizzo assieme all’umido che si portano dietro, per alimentare il riciclo delle prime e il compostaggio del secondo».

Lorenzo Pedrini

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