Giovedì 25 Aprile 2024

Addio all’iPod: dopo cassette e cd, la musica gira solo sul telefonino

Apple manda in pensione l’invenzione che 21 anni fa rivoluzionò il modo di ascoltare e conservare le canzoni

Un pannello pubblicitario di iPod nano del 2009 nella metro di Beijing, in China (Ansa)

Un pannello pubblicitario di iPod nano del 2009 nella metro di Beijing, in China (Ansa)

Roma, 11 maggio 2022 - "Ora tocca a te Caruso". È forse la scena più bella (e conosciuta) di Fitzcarraldo (1982), il film di Werner Herzog. Klaus Kinski, che sognava di portare Enrico Caruso a cantare in un teatro nell’Amazzonia, fa partire il grammofono, posizionato sul battello, con un’aria del tenore. E perfino gli indios nella foresta fermano il loro tambureggiare per ascoltarlo. L’idea di portarsi dietro la propria musica risale almeno al secolo scorso. Il suono “pastoso” prodotto dal grammofono aveva un solo inconveniente: per farlo partire servivano i dischi. E i dischi pesano. Così quando ventuno anni fa Steve Jobs lanciò l’idea dell’iPod, sembrava davvero che la portabilità della musica avesse raggiunto il suo punto di non ritorno nella dematerializzazione della musica stessa.

Niente dischi, niente musicassette, niente compact disc, bastava soltanto un cavo usb per caricare l’iPod, dove a seconda della memoria, si potevano inserire tutte (o quasi) le canzoni che volevamo. Qualcosa, per rendere l’idea, come migliaia e migliaia di brani. Tutti a portata di dito. Ma dopo ventuno anni anche l’iPod viene pensionato, così come successe al lettore portatile di cd e prima ancora al walkman. Il bagaglio deve essere ancora più essenziale.

Con lo strapotere dello streaming musicale, basta uno smartphone (e una buona connessione internet) per accedere a tutte le canzoni che vorremmo ascoltare all’istante. Il processo di dematerializzazione è completato. È sicuramente più comodo, ma quanto ci perdiamo? In emozioni – e forse anche in qualità del suono – parecchio.

Vuoi mettere la sensazione che si prova nel guardare come la prima volta, anche se sappiamo che è almeno la milionesima, la copertina del disco dei Velvet Underground & Nico: la banana sbucciabile disegnata da Andy Warhol per l’occasione (1967). Possono la risoluzione (anche la migliore) e i pixel dare le stesse emozioni? La risposta è così scontata che non meriterebbe nemmeno la domanda. E vuoi mettere tornando al walkman, feticcio ormai del secolo scorso, la cassetta da 90 o 60 (minuti) artigianalmente registrata in casa. Due lati per scegliere quelle che ritenevamo le canzoni migliori. Capacità di sintesi per emozionare e per emozionarsi.

Ti faccio una cassettina? È ormai una domanda fuori tempo massimo. Ma se prendiamo a sfogliare Alta fedeltà di Nick Hornby e pensiamo alle cinque migliori prime canzoni dei lati A dei dischi, che cosa risponderemmo ora? Uno non ascolterebbe Nevermind dei Nirvana (1991) dall’inizio, ma si fermerebbe a Smells Like Teen Spirit e in quel caso sarebbe fortunato, perché è la canzone che apre proprio il disco. Ma probabilmente non saprebbe mai che il disco in questione inizia proprio con quel pezzo e che ne contiene almeno altri undici (i restanti) che meritano di essere ascoltati.

La differenza sta proprio nel tempo e nel considerare l’ascolto di una canzone o di un’aria, come quella di Caruso in Fitzcarraldo, come un’esperienza non passeggera, ma da vivere fino in fondo. In certi casi, anche a costo del rigetto. Come La prima cosa bella di Nicola Di Bari in quella vecchia cassetta Basf infilata nel mangianastri – quando l’autoradio era ancora per pochi – che all’inizio degli anni ottanta suonava a ripetizione nei viaggi di famiglia in macchina, quando l’estate stava finendo, dal mare al Veneto. Che a casa non abbiamo mai più ascoltato, ma quando uscì il film di Virzì (2010), non pensammo nemmeno per un istante che fosse una mirabile invenzione del regista per il titolo. Ma invece una nobile citazione di una canzone inserita (frettolosamente) nel lato B della colonna sonora della vita.