Roma, 11 maggio 2022 - "Ora tocca a te Caruso". È forse la scena più bella (e conosciuta) di Fitzcarraldo (1982), il film di Werner Herzog. Klaus Kinski, che sognava di portare Enrico Caruso a cantare in un teatro nell’Amazzonia, fa partire il grammofono, posizionato sul battello, con un’aria del tenore. E perfino gli indios nella foresta fermano il loro tambureggiare per ascoltarlo. L’idea di portarsi dietro la propria musica risale almeno al secolo scorso. Il suono “pastoso” prodotto dal grammofono aveva un solo inconveniente: per farlo partire servivano i dischi. E i dischi pesano. Così quando ventuno anni fa Steve Jobs lanciò l’idea dell’iPod, sembrava davvero che la portabilità della musica avesse raggiunto il suo punto di non ritorno nella dematerializzazione della musica stessa. Niente dischi, niente musicassette, niente compact disc, bastava soltanto un cavo usb per caricare l’iPod, dove a seconda della memoria, si potevano inserire tutte (o quasi) le canzoni che volevamo. Qualcosa, per rendere l’idea, come migliaia e migliaia di brani. Tutti a portata di dito. Ma dopo ventuno anni anche l’iPod viene pensionato, così come successe al lettore portatile di cd e prima ancora al walkman. Il bagaglio deve essere ancora più essenziale. Con lo strapotere dello streaming musicale, basta uno smartphone (e una buona connessione internet) per accedere a tutte le canzoni che vorremmo ascoltare all’istante. Il processo di dematerializzazione è completato. È sicuramente più comodo, ma quanto ci perdiamo? In emozioni – e forse anche in qualità del suono – parecchio. Vuoi mettere la sensazione che si prova nel guardare come la prima volta, anche se sappiamo che è almeno la milionesima, la copertina del disco dei Velvet Underground & Nico: la banana sbucciabile disegnata da Andy Warhol per l’occasione (1967). Possono la risoluzione (anche la migliore) e i pixel dare le stesse ...
© Riproduzione riservata