Martedì 16 Aprile 2024

Le nuove tecnologie rivoluzionano il private banking

Le nuove tecnologie rivoluzionano il private banking

Le nuove tecnologie rivoluzionano il private banking

C’ERA UNA VOLTA il vecchio consulente finanziario che parlava ai clienti solo di persona. Ora, con l’avvento dell’era digitale, chi amministra i patrimoni dei risparmiatori italiani sta trovando sempre più nuove modalità per interagire con loro a distanza, in primis attraverso internet, le videochiamate o le videoconferenza. Questo trend si evidenzia in particolare nel settore del private banking, cioè in quell’insieme di attività che le banche e gli altri intermediari finanziari mettono in campo per gestire la ricchezza dei clienti di fascia alta, che hanno un patrimonio di oltre 500mila euro a testa. L’avvento delle nuove tecnologie è stato uno degli argomenti trattati nell’ultima edizione dell’Osservatorio Private Banking realizzato e promosso da Banca Generali e Liuc Business School, in collaborazione con le case d’investimento BlackRock e Bnp Paribas.

La ricerca, presentata nei giorni scorsi a Milano da Anna Gervasoni (nella foto a destra), docente dell’Università Cattaneo–Liuc, ha messo in evidenza come gli investimenti tecnologici siano considerati rilevanti o molto rilevanti dalla totalità dei manager del private banking. I player di questo settore stanno utilizzando le nuove tecnologie digitali per raggiungere diversi obiettivi. Il primo è rendere più efficienti le loro strutture, riducendo i costi operativi e consentendo ai private banker che si rapportano con i clienti di dedicarsi maggiormente alla relazione commerciale con la clientela, snellendo invece le operazioni burocratiche e amministrative. Il secondo obiettivo è intercettare fasce emergenti di investitori come la generazione dei millennial, cioè i nati dal 1980 in poi che hanno maggiore dimestichezza con le nuove tecnologie. Infine, c’è pure l’obiettivo di migliorare la soddisfazione dei clienti per i servizi ricevuti, attraverso un approccio multicanale, che spazia dagli incontri di persona con il consulente fino ai contatti a distanza via internet e con i dispositivi mobili. Viene cioè attuata sempre di più quella che in gergo tecnico si chiama web collaboration, una relazione personale che può manifestarsi anche da remoto, proprio grazie alla possibilità di comunicare in tempi rapidi sui canali digitali. Tutte queste innovazioni nel private banking sono poi accompagnate dall’avvento di alcune tecnologie emergenti come la blockchain, il cloud computing o i big data, che consentono agli operatori del settore di tracciare meglio le informazioni, gestire in rete la propria organizzazione o acquisire dati sui clienti cercando di conoscere in maniera ottimale i loro bisogni e anticipare le loro tendenze.

A queste innovazioni si aggiunge poi l’intelligenza artificiale, che sta alla base anche del funzionamento dei robot e dei dispositivi automatizzati largamente utilizzati nell’industria. Con l’intelligenza artificiale si è sviluppata quella che viene definita con un neologismo la robo for advisory. È un processo in cui, come ha spiegato Gervasoni, l’attività del consulente si è evoluta con l’utilizzo della robotica per l’automazione di attività ripetitive come la costruzione dei portafogli, "liberando tempo per la cura della vecchia e della nuova clientela". In questo contesto, lo stesso private banker che gestisce il patrimonio degli investitori di fascia alta deve naturalmente dotarsi di nuove competenze in campo digitale per non rimanere spiazzato di fronte alle innovazioni.

A commentare questi dati è intervenuto Andrea Ragaini (nella foto in alto), manager di Banca Generali che ricopre la carica di vice direttore generale con delega all’area del wealth management. Ragaini ha sottolineato che, pur con l’avvento delle nuove tecnologie, la relazione umana tra investitore e consulente rimane e rimarrà sempre un elemento imprescindibile. La gestione del patrimonio presuppone infatti necessariamente un rapporto di fiducia personale tra chi possiede la ricchezza e chi ha il compito di gestirla. Non a caso, gli analisti dell’Osservatorio hanno messo in evidenza che il modello vincente del private banking è quello ibrido, in cui cliente è libero di operare da solo fino a un certo punto (per operazioni semplici come le transazioni o il monitoraggio del portafoglio), per poi avvalersi del supporto dell’ intelligenza umana, cioè del consulente, nelle attività più complesse come la costruzione di strategie di investimento e di pianificazione finanziaria.