ITALIANI BOCCIATI IN PREVIDENZA E IL FUTURO FA PIÙ PAURA

ANZIANITÀ contributiva, stipendio, aumento della speranza di vita, tipo di lavoro e Pil nazionale. Tutti fattori che incidono sull’assegno pensionistico, ma la maggior parte degli italiani non lo sa. Sono infatti ancora decisamente lacunose le loro conoscenze in materia di previdenza e ciò è tra le principali cause di scelte errate e di una mancanza di pianificazione finanziaria. È preoccupante il quadro che emerge da un sondaggio di Moneyfarm e Progetica dedicato alla previdenza in Italia, che conferma le conclusioni dell’ultimo Rapporto Consob sulla ricchezza delle famiglie italiane, secondo cui la pandemia ha accresciuto la liquidità detenuta sui conti correnti – fino a raggiungere il livello record di oltre 1.780 miliardi di euro – anche a causa dell’educazione finanziaria insufficiente degli italiani, che non tengono conto del futuro nelle scelte di investimento e, in particolar modo, nelle scelte legate alla pensione. Non conoscere o conoscere solo parzialmente il tema della previdenza, infatti, è un grande fattore di rischio che potrebbe portare i futuri pensionati italiani a scontrarsi con la dura realtà di un assegno significativamente inferiore alle proprie aspettative. Con l’ineluttabile regressione del sistema del welfare, legato a trend più che noti (in Italia si nasce di meno, si inizia a lavorare più tardi in un mondo del lavoro sempre più precario e si vive sempre più a lungo) si è creato quel micidiale mix demo-socio-economico che rovescia gli equilibri consolidati su cui, un tempo, gli italiani facevano affidamento.

Venendo al sondaggio, oltre l’80% degli intervistati conosce l’impatto dello stipendio (80,7%) e dell’anzianità contributiva (81,1%) sugli importi, ma soltanto il 34,4% sa che l’aumento della speranza di vita avrà un effetto diretto sull’assegno pensionistico. Il concetto è intuitivo: più cresce la speranza di vita, minore è l’importo dell’assegno perché i contributi versati dovranno essere sufficienti per un maggior numero di anni. E in un Paese longevo come l’Italia – dove l’aspettativa di vita per un uomo è 79,7 anni e per una donna di 84,4 – non è un fattore da sottovalutare. Soltanto un italiano su quattro (25,6%) sa che il Pil nazionale ha un impatto sull’assegno pensionistico. Ancora più bassa la percentuale (20,5%) di coloro che sono consapevoli dell’incidenza del tipo di lavoro svolto e del relativo regime contributivo. Solo una parte davvero irrisoria degli intervistati (il 4%) sa che l’insieme di tutti questi fattori influisce sull’importo della pensione. Degno di nota, inoltre, è il fatto che solo il 30% degli italiani ritiene che i mercati siano un alleato importante per fare un piano di previdenza integrativa, tanto più raccomandabile quanto più tempo manca alla fine dell’attività lavorativa. Leggendolo al contrario il dato risulta ancora più allarmante: circa il 70% degli italiani, quindi, ignora che un investimento sui mercati finanziari possa garantire un assegno pensionistico più alto. Neppure i giovani dimostrano maggiore consapevolezza su questo punto e si fermano al 31,4% (18-29 anni) e al 35,3% (30-39 anni).

L’altro nodo da sciogliere per una pianificazione del futuro ottimale riguarda la conoscenza relativa ai fondi pensione e ai piani individuali pensionistici: rispettivamente il 55% e il 52% degli intervistati ignorano che TFR e contributo datoriale sono due strumenti fondamentali a supporto di un piano di previdenza integrativa. Da notare un maggiore grado di consapevolezza fra i dipendenti, con il 51% che riconosce il valore del TFR e il 61% il contributo del datore di lavoro. Infine, meno di un italiano su dieci (9,5%) pensa che il riscatto di laurea non anticipi mai il momento della pensione, mentre il 24,3% pensa invece che serva sempre ad anticipare questo momento. Sommando i due dati si evince che il 33,8% non conosce il potenziale effetto del riscatto di laurea. La verità è che non esiste una regola valida per tutti: il riscatto di laurea può essere utile per uscire qualche anno prima dal mondo del lavoro, ma ogni caso va ponderato in base a criteri di costiutilità.

In questo scenario complesso in cui, soprattutto in ambito previdenziale, le nozioni da conoscere sono svariate e spesso tecniche, il modo migliore per aiutare i risparmiatori a fare una corretta pianificazione finanziaria per gli anni della pensione è la consulenza. Tuttavia, solo una porzione ridotta della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ha accesso oggi a un servizio evoluto di gestione del risparmio e a una consulenza indipendente. Questo dato è ancor più rilevante visto lo scarso livello di educazione finanziaria della popolazione. Eppure, mai come in questo momento i risparmiatori italiani hanno bisogno di una consulenza finanziaria di qualità e libera da conflitti d’interesse.

"Diciamo continuamente ai nostri clienti quanto sia importante diversificare gli investimenti, soprattutto quelli a fini pensionistici – commenta Andrea Rocchetti, Head of investment advisory di Moneyfarm – Inoltre, più lungo è l’orizzonte temporale e più si possono sfruttare i benefici offerti dai mercati finanziari, specialmente da quelli azionari, minimizzando i rischi. Il fatto che oggi il 72% dei PIP, il prodotto di previdenza integrativa più diffuso tra gli italiani, afferisca al comparto Garantito, dove peraltro le gestioni separate contengono quasi esclusivamente titoli di Stato italiani, non fa che confermare quanto emerge da questo sondaggio sul basso livello delle conoscenze in tema di pensioni e sulla necessità imprescindibile di ricevere una consulenza previdenziale adeguata".