Inflazione e tassi in salita: torna di moda il reddito fisso

Inflazione e tassi in salita: torna di moda il reddito fisso

Inflazione e tassi in salita: torna di moda il reddito fisso

IL 2022 SARÀ l’anno della rivincita del reddito fisso? La domanda è d’obbligo dopo la lunga corsa delle Borse nell’ultimo anno e mezzo dopo il crollo della primavera 2020 con l’esplosione della pandemia. Una corsa, con performance a doppia cifra in tuti i mercati nel 2021, che sta mostrando in questo inizio d’anno il fiato più corto mentre il forte rialzo dell’inflazione, che ha superato il 4% in Europa ed è arrivata addirittura al 7% negli Stati Uniti, non potrà non vedere un intervento delle banche centrali per invertire le politiche monetarie con progressivi rialzi dei tassi. I Bot people, orfani dei rendimenti anche a doppia cifra del passato, con la costante discesa dei tassi che ha caratterizzato il mercato obbligazionario hanno progressivamente abbandonato il tranquillo rifugio dei titoli di Stato. Secondo l’ultima ricerca sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani nel 2021 realizzata da Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi, nella stagione del Covid gli investimenti sono stati ridotti e messi in larga parte in standby proprio dall’incertezza pandemica ma anche dalla difficoltà oggettiva di incontrare sul mercato investimenti corrispondenti agli obiettivi dei risparmiatori che l’anno scorso hanno privilegiato nel lungo peridio la sicurezza (ossia il desiderio di non perdere il capitale investito) e nel breve periodo la liquidità con ben 110 miliardi in più depositati nelle banche. E se le famiglie italiane guardano ancora con diffidenza alla Borsa, tanto che solo il 6,1% del campione del sondaggio della ricerca di Intesa Sanpaolo-Centro Einaudi investe direttamente nei titoli azionari, anche la quota obbligazionaria si è ridotta al 22% contro un massimo storico del 29%.

Se i bond rientrano nei portafogli della sempre più diffusa adesione al risparmio gestito, l’investimento diretto nei titoli del debito italiano ha perso interesse di fronte a rendimenti poco generosi. Basti pensare che i Btp a un anno offrono un rendimento negativo dello 0,48%, che scende a un meno 0,13% a due anni. Per cominciare a vedere il segno più bisogna salire alla scadenza a 3 anni (0,13%) per salire allo 0,46% a cinque, all’1,31 a dieci anni fino al top del 2,46% a 50 anni. In pratica, tenendo anche conto che si tratta di rendimenti lordi da cui detrarre il 12,5% di tasse, il ritorno sul capitale non è certo entusiasmante. E non va meglio con i Bot che hanno visto la scorsa settimana, nell’asta annuale, un rendimento negativo dello 0,44%.

Con questi numeri, spiega Angelo Drusiani (nella foto in basso), consulente per il reddito fisso di Edmond De Rothschild, si capisce perché ci sia poco interesse dei risparmiatori verso Bot e Btp. Ma lo scenario potrebbe cambiare quest’anno? "Indubbiamente, con l’aumento dell’inflazione – risponde sempre Drusiani – è prevedibile, a partire dagli Stati Uniti, una manovra di aumento del costo del denaro con riflessi anche sui rendimenti dei titoli obbligazionari. Ma saranno interventi graduali e comunque limitati". Non tali, cioè, da far sorridere più di tanto i risparmiatori. Per questo anche nel 2022 viene privilegiato l’investimento in equity.

"I rendimenti azionari – spiega Matteo Germano, Head of Multi-Asset di Amundi – "dovrebbero rimanere positivi ma a una singola e bassa cifra". Tesi condivisa da Zehrid Osmani di Martin Currie (parte di Franklin Templeton) secondo cui rimane "un contesto favorevole alle azioni grazie a una lunga fase positiva del ciclo economico malgrado il potenziale nefasto della variante Omicron". In fatto di performance attese, dunque, nel 2022 vince ancora l’azionario a meno di non investire nei bond dei Paesi emergenti, con tassi anche a doppia cifra come quelli turchi o messicani ma, avverte Drusiani, con un elevato livello di rischio e quindi riservati solo, e in piccole quote, a chi dispone di ampi patrimoni e profili di rischio adeguati a livello di Mifid-2. Allo stesso tempo anche i corporate bond, quelli emessi dalle società quotate e che appiano sul fronte dei rendimenti più generosi rispetto ai bond governativi, sono sempre più riservati agli investitori istituzionali, con tagli d’ingresso elevati (da 100 a 250mila euro).

All’interno di una diversificazione del portafogli potrebbe comunque essere davvero il momento per pensare di inserire una quota di bond. Facendolo con prudenza e attenzione, prosegue Drusiani, perché quando aumentano i tassi, perdono valore i vecchi titoli, e quindi è bene privilegiare scadenze brevi, al massimo 5 anni. Così come guardare a titoli indicizzati all’inflazione. O alle nuove emissioni di bond come il Btp Futura, riservato dal Tesoro proprio agli investitori retail, la cui ultima asta del 2021 – con scadenza 2033 - ha visto con il meccanismo dello stet up delle cedole semestrali, un tasso fisso dello 0,75% per i primi quattro anni, dell’1,35% per i successivi quattro e dell’1,70% per i restanti quattro anni di vita. Un titolo, che quest’anno potrebbe vedere anche una versione “green“ e che, secondo Pietro Poletto, responsabile dei mercati obbligazionari di Borsa Italiana, premia la fedeltà di chi lo tiene in portafoglio con un primo bonus dopo 8 anni e un secondo allo scadenza del dodicesimo anno. Quindi si tratta del classico titolo da cassettista che scommette anche sulla crescita dell’Italia sapendo che i premi saranno calcolati sull’andamento del Pil.