"Il 2022 sarà un altro anno d’oro per i dividendi"

"Il 2022 sarà un altro anno d’oro per i dividendi"

"Il 2022 sarà un altro anno d’oro per i dividendi"

DOPO un 2020 da dimenticare, il 2021 è stato un anno eccellente per i dividendi. Nel “Dividend Day“ d’autunno, il 22 novembre scorso, grandi gruppi hanno staccato cedole con rendimenti molto interessanti, da Intesa Sanpaolo a Mediobanca, da Banca Generali a Banca Mediolanum. Ma gli analisti prevedono che anche il 2022 darà grandi soddisfazioni. Anzi, c’è anche chi si spinge più in là. Davide Chiantore, responsabile ricerca di Abalone Graff, nota boutique finanziaria europea per investitori privati e istituzionali, prevede ad esempio che la crescita dei dividendi sarà la più grande opportunità da cogliere sui mercati finanziari nei prossimi tre anni.

Per quali ragioni?

"Dopo tanti anni l’inflazione sta rialzando la testa nel mondo per una serie di fattori. L’inflazione nel breve periodo crea un effetto negativo sui bilanci delle aziende, soprattutto di quelle che pagano dividendo, perché si alzano i prezzi delle materie prime e quindi la loro marginalità va a calare perché le aziende non riescono subito a riversare sul consumatore l’aumento dei costi. Le società chimiche, ad esempio, come la tedesca Basf, la più grande del mondo, ci mettono un po’ più di tempo ad alzare i prezzi sui loro clienti. Però, una volta che l’inflazione si è trasmessa lungo la filiera, il risultato è che dopo qualche anno l’inflazione si riversa sui consumatori finali e per contro le aziende vanno ad avere un aumento considerevole dei fatturati e degli utili".

Fatte le debite proporzioni, possiamo fare un esempio italiano?

"Prendiamo Campari. Una società del food & beverage molto ben amministrata, che ha una grande capacità di riversare sul consumatore finale l’inflazione. Campari vende in tutto il mondo e ha la forza di aumentare i prezzi e di conseguenza anche utili e dividendi. Per Campari noi di Abalone prevediamo un raddoppio dei dati di bilancio entro il 2030 con riflessi positivi anche in termini di dividendi payout".

Quali sono i settori che daranno i maggiori dividendi nei prossimi anni?

"L’alimentare, il farmaceutico, che oggi è molto sottovalutato, l’automotive e il lusso. Quest’ultimo più degli altri. La crescita del lusso è talmente forte ed esplosiva che rende quasi trascurabile il rialzo dell’inflazione".

Le società più generose con i dividendi in quali settori operano?

"Se facciamo una fotografia a oggi, chi paga tanto sono le banche e i petroliferi. Ci sono banche che hanno quotazioni ridicole, i dividendi in termini percentuali sono molto alti".

I dividendi hanno lo stesso andamento degli utili?

"Dovrebbe essere così, a rigor di logica. Torniamo all’esempio di Basf che le facevo prima. Basf più o meno paga la metà dell’utile e l’altra metà lo reinveste nell’azienda per crescere. Purtroppo in Italia c’è la brutta abitudine di pagare dividendi indipendentemente dall’andamento del business".

Poi ci sono dei settori che puntano più sulla crescita in Borsa che sulla distribuzione degli utili…

"Ad esempio i giganti americani come Google o Amazon, che non pagano dividendo. Ma in Italia è molto più raro, perché i risparmiatori italiani sono molto attenti al dividendo".

Il dividendo resta una delle principali motivazioni che spinge gli investitori a entrare nei mercati finanziari?

"Per gli italiani sì. La classica domanda del risparmiatore italiano è: quanto dividendo paga? Secondo me è una domanda sbagliata, perché il dividendo è una conseguenza della crescita dell’azienda. Anche se oggi non c’è, se l’azienda è solida e amministrata bene, prima o poi arriverà. Non bisogna guardare solo al dividendo prima di scegliere un investimento".

Voi di Abalone ritenete che l’Italia sia tornata interessante per gli investitori internazionali? C’è stato un effetto Draghi sul mercato azionario italiano?

"Assolutamente sì. Quando è arrivato Draghi, noi stessi abbiamo investito con più sollievo su quelle tre o quattro aziende italiane che abbiamo in portafoglio. Noi guardiamo all’azienda, a quanto è bene amministrata, a quanto è internazionale il suo business. Investiamo su circa 60 aziende in tutto il mondo, lei può immaginare quanto sia severa la selezione che facciamo. Con Draghi a Palazzo Chigi si è venuto a creare un contesto macro economico più tranquillo, con più certezze che non ci saranno ulteriori tassazioni su aziende quotate piuttosto che meno problemi in termini di debito pubblico, di spread, di fuga degli investitori. Tutte problematiche che vanno a impattare anche sulle aziende private. Pensi al 2011, con lo spread a 575 punti contro i Bund tedeschi: le banche italiane stavano per saltare per aria e anche le migliori aziende italiane avevano difficoltà ad avere delle linee di credito".