Venerdì 19 Aprile 2024

"C’è il rischio di stagflazione, non ripetere gli errori degli anni Settanta"

BACK TO THE FUTURE. Aurélien Goutsmedt, storico dell’economia e ricercatore all’università di Lovanio, specializzato nel fenomeno della stagflazione, vede molte analogie fra la situazione presente e la crisi energetica degli anni Settanta. In Europa si parla sempre più di stagflazione.

È giustificato?

"La stagflazione è associata agli anni ‘70. Il termine emerse alla fine degli anni ‘60 nel Regno Unito, per descrivere un fenomeno tipico delle economie sviluppate. Oggi ci troviamo ad affrontare lo stesso dilemma posto negli anni Settanta, in termini di politiche economiche. Siamo di fronte a uno shock di offerta negativo, vale a dire un rallentamento della crescita accompagnato da un aumento dei prezzi. Questo può portare alla stagflazione. L’inflazione è in aumento, così come la disoccupazione, una dinamica che non accade in tempi ‘normali’. In termini di politica economica, questo significa che dobbiamo giocare con due variabili che di solito si muovono in direzioni opposte. Se cerchiamo di compensare l’inflazione, rischiamo di aumentare la disoccupazione; se promuoviamo la ripresa, rischiamo di aumentare l’inflazione. Bisogna quindi trovare un compromesso". L’attuale crisi energetica può essere paragonata agli shock petroliferi del 1973 e del 1979?

"Naturalmente, ci sono differenze e punti in comune. Ma ci sono due grandi questioni che stiamo riscoprendo. In primo luogo, la questione della dipendenza energetica e il ruolo cruciale che l’energia gioca nelle nostre economie. Questa domanda è diventata meno importante negli anni ‘80 e ‘90, ma possiamo vedere che sta tornando alla ribalta oggi. L’energia occupa un posto enorme nelle nostre economie e può avere impatti profondi e sistemici, anche se rappresenta una parte relativamente minore delle nostre spese. Poi, si riscopre che l’energia (e quindi l’inflazione) è una questione sia politica che geopolitica. L’economia finisce sempre per essere sopraffatta da questioni non economiche. Gli anni ‘70 sono stati segnati dalla Guerra Fredda, dalle tensioni tra Paesi arabi e Paesi occidentali e così via".

Quali lezioni possiamo trarre dalle politiche economiche attuate negli anni ‘70 per affrontare la stagflazione?

"Innanzitutto bisogna riconoscere che negli anni ‘70 si sono state grandi incertezze ed errori nelle politiche macroeconomiche messe in atto. La prima reazione dei governi e delle banche centrali è stata quella di condurre una politica restrittiva per contenere l’inflazione. Ma questa risposta ha fallito nella maggior parte dei Paesi. La stretta monetaria non frena l’inflazione quando questa deriva da un aumento dei costi (delle materie prime o dei generi alimentari, ad esempio). La recessione del 1974 è stata quindi la più grande recessione dal ‘29 in molti Paesi. Eppure anche nel 1979 si finisce per concentrarsi sull’inflazione. Prima di affrontare la disoccupazione, dunque, è stata data priorità al calo dell’inflazione e alla stabilità dei prezzi: è il piano adottato in Germania, Stati Uniti e Regno Unito. Per gli ultimi due, la conseguenza sarà una terribile recessione e crisi sociale, con un tasso di disoccupazione molto alto accompagnato da un deterioramento del tenore di vita dei lavoratori. Sono gli anni di Ronald Reagan e Margaret Thatcher".

Ripeteremo gli stessi errori anche oggi?

"Nessuno pensa di attuare la stessa politica oggi, ma su questo punto l’Europa va distinta dagli Stati Uniti. Per il momento, l’Europa si trova in una situazione più semplice dal punto di vista macroeconomico e in una situazione più complicata dal punto di vista geopolitico ed energetico. Il motivo è semplice: la ripresa economica nel 2021 in Europa è stata più debole che negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, l’economia si è ripresa molto rapidamente dopo la pandemia. La disoccupazione è diminuita e si è registrato un aumento significativo del consumo di beni. L’inflazione era già alta prima del conflitto in Ucraina, mentre in Europa le pressioni inflazionistiche sono state più contenute e la Bce ha quindi più margini di manovra".

E se la situazione persiste? Quale impatto a lungo termine sull’economia?

"Il rischio maggiore è che l’inflazione si trasmetta all’economia in maniera strutturale. Questo è ciò che le banche centrali stanno monitorando. Più a lungo persiste questo aumento dei prezzi dell’energia e delle altre materie prime, maggiore è il rischio di un aumento duraturo e generale dei prezzi dei beni. E più le aziende prevedono aumenti di prezzo, più aumentano i prezzi loro stesse, creando un circolo vizioso".

Elena Comelli