Mercoledì 24 Aprile 2024

Arrivano i Fia, la nuova frontiera del private banking

Arrivano i Fia, la nuova frontiera del private banking

Arrivano i Fia, la nuova frontiera del private banking

NÉ FONDI comuni d’investimento, né azioni quotate in borsa, e neppure titoli di stato o bond negoziati ogni giorno su mercati regolamentati. Nel portafoglio degli investitori italiani, almeno di quelli più ricchi che usufruiscono dei servizi di private banking, sta per farsi spazio una nuova categoria di strumenti finanziari, un po’ diversi a quelli appena citati. Si chiamano Fia (fondi d’investimento alternativi) e possono essere acquistati versando una somma minima di 100mila euro. È una cifra consistente, è vero, ma di gran lunga inferiore a quella prevista fino a qualche mese fa (500mila euro), prima che le soglie di accesso ai Fia venissero abbassate, per effetto di un decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze. L’obiettivo è aumentare il raggio di azione di questa categoria di fondi, che possono investire il capitale i diversi modi. Per esempio nel private equity, cioè in partecipazioni in società non quotate in Borsa, con l’obiettivo di tenerle per un po’ di anni nel portafoglio e poi rivenderle a qualche altro investitore o quotarle sul lisino. Ma i Fia possono investire anche in fondi di Venture Capital che sostengono le società in fase di crescita (start up), particolarmente bisognose di risorse finanziarie fresche, oppure nella costruzione di infrastrutture, nel debito delle piccole e medie imprese o in altri fondi che acquistano portafogli di crediti deteriorati.

L’obiettivo di queste nuove regole favorevoli ai fondi alternativi è duplice: in primis si vuole spingere i capitali dei risparmiatori più ricchi, che hanno un patrimonio di almeno 1 o 2 milioni di euro, a sostenere la cosiddetta economia reale, cioè le imprese e gli investimenti produttivi che avvengono al di fuori dei tradizionali circuiti della finanza di borsa. In secondo luogo, abbassando la soglia di accesso ai Fia, si vuole offrire anche alle famiglie un po’ più abbienti (e non solo agli investitori istituzionali) la possibilità di andare alla ricerca di guadagni mettendo in atto strategie ad ampio raggio, alternative a quelle tradizionali, visto che le cedole delle obbligazioni sono avare a causa del calo dei tassi d’interesse e le azioni sono reduci da un ciclo positivo pluriennale, difficilmente replicabile in futuro.

Questa maggior propensione verso i fondi d’investimento alternativi non è soltanto un fenomeno italiano. Anzi, all’estero il trend è ancor più marcato. La nota multinazionale della consulenza Boston Consulting Group (Bcg) ha stimato che i cosiddetti asset alternativi valgono già in tutto il mondo ben 15mila miliardi di euro e sono destinati a salire fino a 22mila miliardi entro il 2025. Di quest’ultima cifra, almeno 4mila miliardi saranno presto detenuti da investitori individuali (come appunto i clienti del private banking) e non da soggetti istituzionali (come per esempio in fondi pensione o i fondi assicurativi). Nulla di male, anche se c’è un particolare che non va sottovalutato. I fondi alternativi, per loro stessa natura, sono una forma di investimento illiquida. Ciò significa che chi li acquista non può liquidare il capitale dall’oggi al domani, o comunque in tempi brevi, come avviene invece per le azioni, per i tradizionali fondi comuni o per i titoli di stato. Il capitale che finisce nei Fia deve essere mantenuto investito per un po’ di anni e chi lo versa deve dunque porsi un obiettivo di rendimento nel medio e lungo periodo. Senza dimenticare, ovviamente, la regola di base per costruirsi un portafoglio ben equilibrato e ben diversificato.