
Marco Fortis, economista, docente all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Edison
I segnali che arrivano dall’economia italiana sono positivi. Nel primo trimestre dell’anno, ancora scevro dagli effetti diretti del Liberation Day trumpiano, il Pil è cresciuto dello 0,3%, perfettamente in linea con la media dell’Eurozona. Un po’ inferiore al +0,4% della Germania, ma più alto del +0,1% della Francia. A trainare sono stati gli investimenti, mentre i consumi, come sottolinea Confesercenti, sono rimasti sostanzialmente al palo. Su base annua, la crescita è stata invece dello 0,7% (rivista al rialzo rispetto al +0,6% stimato dall’Istat un mese fa).
I numeri del trimestre fanno lievitare la crescita acquisita per quest’anno allo 0,5%. Se insomma nel resto dell’anno il Pil non si discostasse dal livello attuale, l’Italia rimarrebbe poco al di sotto delle stime del governo contenute nel Documento di finanza pubblica, pari a +0,6%. Tanto che per Confcommercio le stime di oggi sono fondamentalmente compatibili con un target 2025 attorno allo 0,8%.
La revisione al rialzo del Pil è sempre una buona notizia. Soprattutto in un periodo di forti turbolenze. Parola di Marco Fortis, economista, docente all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Edison, da sempre attento osservatore delle dinamiche del Bel Paese.
Professore, cresciamo quindi più del previsto?
"Sì. L’elemento più interessante è quello della crescita acquisita, che è stata portata allo 0,5% rispetto allo 0,4% precedente. È stata rivista al rialzo anche la crescita tendenziale del trimestre, pari allo 0,7%. Non è la prima volta che i numeri reali smentiscono stime, anche autorevoli. Come, ad esempio, quella del Fondo Monetario Inernazionale, che a fine aprile aveva previsto una crescita del Pil dello 0,4%. Siamo già allo 0,5%. Per la Francia, invece, lo stesso Fmi aveva previsto una crescita dello 0,6%, mentre la crescita acquisita è della metà”.
Però c’è, all’orizzonte, l’incognita dei dazi?
“Per ora sono solo annunci. Vorrei però segnalare la novità della Germania dove, nel primo trimestre, la crescita è stata rivista dallo 0,2% allo 0,4%. Un trend che fa ben sperare anche per il nostro settore manifatturiero”.
Resta il fatto che la produzione industriale continua a calare, anche se ieri il governatore Panetta ha detto che non si rischia il declino.
“I dati dell’Istat mostrano che da due trimestri sta crescendo anche il settore manifatturiero. È il segno che ci stiamo lasciando alle spalle un periodo fortemente segnato dalla contrazione dell’export verso la Germania. Il governatore ha tracciato un quadro piuttosto lusinghiero dell’Italia: ha parlato di una ripresa robusta post-Covid, di un miglioramento della produttività nell’ultimo decennio rispetto al precedente e di un rafforzamento competitivo delle nostre imprese, che sono diventate più grandi e hanno investito anche in tecnologie avanzate. L’industria rappresenta, insomma, un fattore competitivo strategico per il Paese”.
Possiamo stare tranquilli, allora?
“No, perché sarebbe sbagliato cullarsi sugli allori. Bisogna, anzi, affrontare i problemi aperti come il costo dell’energia, e serve un forte sostegno pubblico per la ricerca e gli investimenti in tecnologia. Occorre creare le condizioni per una staffetta ideale tra gli incentivi di Industria 4.0, concentrati sui macchinari fisici, e quelli più avanzati che guardano, ad esempio, all’intelligenza artificiale. Un percorso che può far aumentare la nostra produttività”.
Non c’è anche una questione salariale?
“È tutto collegato. Gli investimenti in tecnologia faranno crescere la produttività e, nello stesso tempo, creeranno anche posti di lavoro a maggiore contenuto tecnico e professionale, che potranno avere stipendi più alti”.
Sorpreso dalle valutazioni delle agenzie di rating?
“Nell’ultimo anno tutte le principali agenzie hanno confermato rating molto alti per il Paese o, quantomeno, migliorato le previsioni. Del resto, il successo dell’ultima asta dei Btp e la riduzione dello spread sono già segnali di un’inversione di rotta. I cittadini e gli operatori finanziari si stanno finalmente accorgendo che siamo l’unico Paese del G7 che registra un avanzo primario. Chiedere, come fa l’Fmi, di arrivare al 3% significherebbe aprire una nuova stagione di austerità. Lasciamo fare all’Italia il suo percorso”.