Inps, Boeri: "Chiudere ai migranti? Costerebbe 38 miliardi"

Relazione annuale dell'istituto di previdenza a Montecitorio. Il presidente: "Serve salario minimo, abuso della Cig"

Tito Boeri, presidente dell'Inps (Ansa)

Tito Boeri, presidente dell'Inps (Ansa)

Roma, 4 luglio 2017 - Il tema migranti oggetto di discussione non solo al parlamento Ue. Secondo la 'Relazione Annuale' dell'Inps, presentata oggi a Montecitorio dal presidente Tito Boeri, infatti la chiusura delle frontiere ai cittadini extracomunitari fino al 2040 potrebbe costare alle casse dell'istituto italiano di previdenza 38 miliardi di euro. "Una classe dirigente all'altezza deve avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno di un numero crescente di immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale", ha detto Boeri. "Per offrire qualche ordine di grandezza su quanto ci costerebbe, abbiamo voluto simulare l'evoluzione da qui al 2040 - ha proseguito -. Nei prossimi 22 anni avremmo 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi".  Insomma, ha detto Boeri, "una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i contri sotto controllo".

Parole che rischiano di costargli nuovi nemici, oltre a quelli che Boeri già sostiene di avere ("Mi sono anche fatto tanti nemici e la lista di chi ha, a più riprese, invocato una fine anticipata del mio mandato si è notevolmente allungata). il numero uno dell'Inps però ha anche rivendicato una gestione virtuosa: "Nel 2016 è costata 3.660 milioni contro i 4,531 del 2012, all'indomani dell'incorporazione di Inpdap ed Enpals".

Boeri ha poi sottolineato come il blocco dell'adeguamento all'aspettativa di vita per la pensione di vecchiaia "non è una misura a favore dei giovani". A proposito della discussione sul possibile stop nel 2019 all'adeguamento dell'età di uscita, ha spiegato che i costi si "scaricherebbero sui nostri figli e sui figli dei nostri figli". Sarebbe meglio - ha aggiunto - fiscalizzare una parte dei contributi all'inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto stabile.

Inoltre per Boeri è arrivato il momento per l'introduzione del salario minimo nel nostro ordinamento. "Avremmo il duplice vantaggio - ha detto - di favorire il decentramento della contrattazione e di offrire uno zoccolo retributivo minimo per quel crescente nucleo di lavoratori che sfugge alle maglie della contrattazione". Boeri ha affermato che "le premesse ci sono", ricordando che il nuovo contratto di prestazione occasionale fissa una retribuzione minima oraria. "Di qui il passo è breve - ha detto - per introdurre il salario minimo".

Assist poi al Jobs Act. Boeri ha infatti rivelato che l'introduzione del contratto a tutele crescenti ha rimosso "il tappo alla crescita delle imprese sopra la soglia dei 15 dipendenti", per cui valeva prima l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. "Un'impennata nel numero di imprese private che superano la soglia dei 15 addetti: dalle 8.000 al mese di fine 2014, siamo passati alle 12.000 dopo l'introduzione del contratto a tutele crescenti", ha spiegato.

Tasto dolente invece il reddito potenziale delle donne lavoratrici che "subisce un calo molto accentuato (-35% nei primi due anni dopo la nascita del figlio), soprattutto fra le donne con un contratto a tempo determinato, perché provoca lunghi periodi di non-occupazione". "Non sorprende perciò constatare come la crisi abbia fortemente ridotto le nascite (-20% nel Nord del paese)", ha detto ancora Boeri per il quale i costi della genitorialità potrebbero essere fortemente contenuti non solo rafforzando i servizi per l'infanzia, ma anche e soprattutto promuovendo una maggiore condivisione della genitorialità". 

Inoltre l'Italia ha il "primato" nella percentuale di "lavoratori sbagliati al posto sbagliato". Pertanto, ha sottolineato Boeri, "la formazione sul posto di lavoro è cruciale, perché abbiamo il più alto livello di mismatch fra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori". La produttività del lavoro, ha continuato, "potrebbe aumentare del 10%, colmando un quinto del gap di efficienza che ci separa dagli Stati Uniti, se riducessimo il livello di mismatch a quello del paese Ocse con l'indice più basso in ciascun settore. Il tutto ottenendo dei vantaggi sia per le imprese, che avrebbero lavoratori più produttivi, che per i lavoratori, che sarebbero impiegati in mansioni maggiormente rispondenti alle loro competenze ed aspirazioni e potrebbero essere pagati di più. Per ridurre il mismatch - ha aggiunto il presidente dell'Inps - bisogna migliorare la transizione fra scuola e lavoro e incentivare gli investimenti in formazione".

Infine l'uso della Cassa integrazione si è da tempo snaturato. Nella lunga crisi 2008-2016 ben 350.000 aziende private italiane hanno utilizzato la CIG nelle sue varie articolazioni (Ordinaria, Straordinaria e in Deroga). Due terzi di queste imprese hanno avuto accesso allo strumento per più di un anno, una su cinque per più di 5 anni sui 9 presi in considerazione. "Difficile pensare che, in questi casi, si tratti di problemi temporanei, indubbio che siamo di fronte a un sussidio prolungato che riduce in modo continuativo il costo del lavoro di alcune imprese", ha concluso Boeri. Infine il presidente ha sottolineato come l'Inps eroga oggi 440 tipi di prestazioni, solo un terzo delle quali (150) di natura previdenziale. Da qui la richiesta al Parlamento di cambiare il nome da Istituto di previdenza sociale a Istituto di protezione sociale.